domenica 28 aprile 2013

I Tigli, una sorpresa (non quella che pensate)


Due settimane fa a Trento era estate e c'era il sole, non un sole tiepido e primaverile ma uno caldo, forte, egocentrico. Un sole che voleva farsi notare, che reclamava una giornata pensata ad hoc per lui.
L'abbiamo soddisfatto:-)
Mattina con passeggiata tra le bancarelle primaverili del centro, quelle che insieme alla verdura vendono tulipani e papaveri, pomeriggio a Villa dei Cedri (se siete in zona lago di Garda è un qualcosa che non potete perdervi) e cena ai Tigli.
Di Simone Padoan e della sua pizza era tanto che ne sentivamo parlare, dei suoi impasti, degli ingredienti utilizzati e del suo nuovo locale a San Bonifacio, un locale decisamente di design.
Dopo il primo bagno, la prima tintarella (ora sto fantasticando, per chi ha la pelle candida come la nostra l'abbronzatura è un miraggio) ci stava proprio una buona pizza per festeggiare una giornata che rasentava la perfezione.
I Tigli si trovano in un anonimo paese della pianura veneta, come ce ne sono tanti e come quello dove è nata una buona metà della mia famiglia. Il locale è semi nascosto in una costruzione anni '70 ma appena si apre la porta a vetri si respira aria londinese: cucina a vista, grande uso del design con elementi in vetro e acciaio, centro tavola con un piccolo alberello bonsai-style, colori chiari e luminosi, una sensazione di freschezza e pulizia.
Un gran bel locale insomma.

  
Dopo qualche minuto dell'arrivo del menù decidiamo di scegliere due pizze in degustazione: le pizze saranno servite una alla volta in base all'ordine scelto dallo chef, pardon del pizza-chef.
Una margherita con fior di latte pugliese (insieme alla stracciatella nelle gelaterie e ai cannoncini nelle pasticcerie sono quei 'piatti' che ordiniamo sempre la prima volta che proviamo in un locale) per iniziare ed una con baccalà con chips di polenta per finire.
L'arrivo della pizza ci lascia un po' perplesse: la pasta è molto alta, visibilmente 'panosa' già ad un primo sguardo, il pomodoro non ha nessun particolare profumo ed il fior di latte è decisamente colloso.
Uhm.
L'assaggio conferma i nostri pregiudizi e ci convince che il problema sia anche lo squilibrio tra la quantità di pasta e quella del condimento, oltre che un impasto da pane più che da pizza; in breve una Margherita non memorabile e non confrontabile con altre assaggiate ben migliori (su tutte quella della Piccola Piedigrotta di Reggio Emilia)
Qualche minuto dopo arriva la pizza con il baccalà. Quenelles di crema di baccalà sono depositate su ogni singola fetta sormontate da chips di polenta e pomodorino confit.
La quenelle è ottima, saporita e vellutata. La chips ed il pomodorino buoni anche loro. Permane il solito problema dell'impasto che continua a non piacerci anche in questo secondo assaggio e che secondo noi rende la pizza veramente poco godibile.
I prezzi probabilmente non aiutano il nostro (già scarso) entusiasmo, 12€ per la margherita e 29€ per quella con il baccalà non sono proprio prezzi nazional popolari.
Non siamo fan del prezzo basso 'solo perchè è una pizzeria e cosa vuoi che costino farina e pomodoro' ma questi sono prezzi secondo noi dovuti più da una brigata di cucina dedita (anche) a fare le singole quenelles e da spese di gestione del locale più che da un vero costo del prodotto proposto. 
Paghiamo ed usciamo poco convinte e con l'idea che, questa volta, i giudizi entusiastici dei tanti blog/guide non ci abbiano consigliato bene.   


sabato 30 marzo 2013

Di gastronomia, crisi e infanzia (la mia)


Tornare a casa è come entrare nel proprio museo personale dei ricordi.

Da quando sono nata la casa dei miei genitori è sempre stata la stessa ed è solo qui che ho la sensazione di essere circondata da oggetti che mi hanno vista crescere: mobili, divani, soprammobili, cactus, fotografie e libri di ricette.
Poi ci sono degli oggetti effimeri, quelli che arrivano e se ne vanno, simboli dei ritmi delle stagioni che passano e che riempiono la dispensa: i cesti di Natale e le colombe di Pasqua.
Simboli, tra gli altri, dell'Italia ruggente e di una economia che procedeva spedita, sono stati il mio benchmark gastronomico per anni, un modo veloce per capire come andavano le cose in casa. 

Quando ero piccola, fino a metà degli anni '90, aspettavo con ansia l'urlo di mio papà dalla cantina: "Silviaaaa, ci sono i cesti, vieni ad aiutarmiiii". I cesti erano tanti e affollavano il baule della macchina, io in realtà aiutavo ben poco, più che altro mi divertivo a correre da mia mamma gridandole quanti panettoni, barattoli di mostarde, tranci di salmone ci avevano regalato. Erano gli anni in cui il lavoro non mancava e per me tutto si rifletteva nella quantità di cesti e colombe ricevute in regalo durante le festività. Una sorta di cartina di tornasole che mi faceva capire facilmente che tutto andava bene. Basilarmente: da mangiare ce n'era.
Alla fine degli anni '90 la quantità di cesti cominciava a calare così come la quantità di prodotti al loro interno. Meno bottiglie di vino, panettoni più economici, più frutta fresca e meno panforte. Ero alle medie, mia mamma cominciò a non regalare più i cesti in avanzo e io ebbi la sensazione che le cose non andassero più bene come una volta. 
Cambio di millennio, cambio di moneta, cambio di cesti. Pochissimi e scarni, fino al 2005 quando non ne arrivò più neanche uno. Tre anni prima dell'inizio della crisi ufficiale, l'anno della mia maturità, la sensazione che le cose non andassero per niente bene me la ero già fatta analizzando la mia materia preferita: il cibo.
Alla scelta della facoltà a cui iscrivermi non ebbi dubbi e scelsi ancora qualcosa che aveva a che fare con il food: lui e sempre lui che già da bambina analizzavo con tanta curiosità.


I dati 2013 sono chiari: quest'anno a Pasqua in pochissimi andranno al ristorante. A parte essere da sempre convinta che le feste vadano festeggiate in casa per svariati motivi, la notizia mi ha comunque fatto pensare. Nella mia infanzia la presenza del ristorante era una costante settimanale. 
Il venerdì mio papà tornava stanco da una settimana di lavoro e voleva andare a mangiare qualcosa di buono con noi e i suoi amici. Il ristorante era sempre lo stesso, la compagnia pure, io avevo la possibilità di ordinare quello che volevo purchè lo finissi e stessi buona a tavola. Non ero una mangiona ma mi piaceva imparare e curiosare ed in quelle sere feci conoscenza con gli agnolotti del plin, con il Castelmagno,  con la tartare, con il Culatello con molto altro che ora non mi ricordo più. 
Le basi erano gettate, la cultura gastronomica di questo paese era servita e fatta (giustamente) imparare anche ai più piccoli. 
La frequenza delle cene al ristorante riflesse perfettamente quella dei cesti di Natale. A fine anni '90  le cene cominciarono a calare sostituite da più economiche serata a casa con gli amici per poi, a metà del nuovo millennio diventare sempre più rare fino a scomparire negli ultimi anni, quando ci si rivede solo per compleanni e avvenimenti importanti.

Ricordi, riflessioni, piccole cose che danno l'idea di quanto quelle grandi siano cambiate. Scorci di un passato che mi chiedo se mai tornerà e se potrò farlo rivivere ai miei figli.

Per il momento una buona Pasqua a tutti e God save Italy:-)


         

  

lunedì 25 marzo 2013

Rotta verso nord est


In questi anni i nostri spostamenti si sono concentrati sull'asse longitudinale mentre su quello latitudinale ci siamo impegnate poco, facendo prevalere il nostro interesse per i confronti nord-sud più che per quelli est-ovest. Lo stage è stata l'occasione per cambiare e se anche di poco spingerci dall'altra parte del nord Italia a vedere come si sta.
Prima notizia: si sta molto bene:-)
Casa All around the food ha dovuto affrontare per la prima volta una separazione perchè se io mi sono accontentata di esplorare le dinamiche trentine la fotografa ha proprio voluto andare negli ultimi baluardi dell'Italia, dove la nostra lingua può essere addirittura la terza in ordine di importanza, dopo il tedesco e, a sorpresa, il ladino. Un salto nel passato? In un certo senso l'Alto Adige lo è, come del resto lo è anche nel futuro. Una terra in mezzo a due culture, tre lingue e una visione conservatrice-progressista rara e preziosa.
La rotta verso nord est impone il passaggio tra le strade più trafficate d'Italia, quelle autostrade dove il contorno delle Alpi appare pallido, sbiadito all'interno della nuvola di smog che circonda la Pianura Padana.
Solo dopo Verona, spingendosi sempre più a nord, ci si riappropria dei profili innevati, dei boschi, dei vigneti e dei meleti. Un paesaggio intensamente bello, molto familiare per chi come me è nata in mezzo alle montagne e ai laghi.
Trento appare all'improvviso, appena superato l'immenso lago di Garda e si presenta come una città piccolina dal cuore italiano ma con spunti tirolesi qua e là: Duomo italian style e casette colorate autrian style, canederli e spaghetti, wurstel e salsicce, tutto diverso mixato assieme, come nelle migliori famiglie.
Il centro storico è raccolto e in una giornata si può facilmente vedere tutto tra cui Palazzo Roccabruna, dove io sono in stage fino a luglio.

Avviso: ogni riferimento da qui in poi non è puramente casuale e se ve lo state chiedendo, sì ci sono anche finalità promozionali:-)

Il palazzo è una meraviglia, trasuda storia da ogni angolo (è stata la sede di uno dei protagonisti del Concilio di Trento che è durato la bellezza di 17 anni) e adesso ospita la sezione della Camera di Commercio di Trento per la promozione dei prodotti enogastronomici trentini oltre ad una splendida enoteca dove è possibili assaggiarli accompagnati da un calice di Trentodoc, inoltre tutti i sabati sono organizzate cene a tema ed incontri con i produttori. Insomma ci si dà da fare:-)

Più in su di un centinaio di km, alcuni gradi in meno e molti tedeschi in più c'è Degust. Vicino a Bressanone esiste un localino con mucche e capre in ferro battuto dove arrivano tutti i giorni decine di formaggi da tutta Europa che vengono poi affinati sotto le sapienti mani di Hansi Baumgartner.


Ex cuoco, ora affineur, ovvero esaltatore/compensatore/arricchitore degli aromi già presenti naturalmente nei formaggi. Un formaggio è a pasta morbida e con una nota grassa molto sviluppata? Quasi allappante? Una copertura di diversi tipi di pepi riuscirà a pulire la bocca e a sgrassarla rendendola pronta per un nuova degustazione. 


Il formaggio erborinato è sempre abbinato con un bicchiere di vino passito. Perchè non anticipare il connubio mettendo le vinacce passite di moscato direttamente sul formaggio erborinato e lasciarlo poi affinare così per 3 mesi? Il mosto denso, aromatico e zuccherino delle vinacce penetrerà nel formaggio rendendolo unico e meravigliosamente perfetto.


Ecco, in breve, cosa fa l'affinatore. Cosa faccia, invece, l'altra blogger lassù è più complicato. Laboratorio, fotografie, sito web, fiere, organizzazione di eventi, parte commerciale e di marketing. Un po' tutto, come si conviene nelle aziende piccole che hanno bisogno di tirocinanti multitasking.

Tutto questo fino a metà luglio, poi rifaremo armi e bagagli e torneremo nelle Langhe, ci aspetta, dopotutto, Cheese ed una laurea!





       
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