lunedì 26 dicembre 2011

Dicembre 2011: caffè, vino e mucche (e qualche pollo)


Più ci immergiamo in questo ambiente slow più il tempo passa fast
Così, senza nemmeno accorgercene, ci siamo ritrovate catapultate nelle feste natalizie dopo un mese molto intenso scandito da viaggi didattici, cene di classe, aperitivi sempre di classe e altre attività a tema fortemente gastronomico. 
Per cominciare, quindi, buone feste a tutti (siamo pure in ritardo per augurarvi buon Natale:-) e soprattutto buon anno nuovo. Anzi quest'anno il nostro augurio più sentito è proprio per questo apocalittico, profetico, angosciante 2012: God save Italy (and so all of us).

Piccolo riassunto di quello che è successo durante questo dicembre 2011:
  • inizi di dicembre: giungiamo alla volta di Cherasco ci ritroviamo nel paese delle cioccolaterie e dei ristoranti (con una proporzione rispetto agli abitanti di circa 10:1), facciamo incetta dei baci medesimi (per info http://www.gentedelfud.it/prodotto/dettaglio/baci-di-cherasco/) e ci perdiamo in mezzo alle sue vie deliziose. Fotografiamo porte di entrata dal sapore seicentesco, esempi di mobilità sostenibile e scopriamo che scendere a valle può voler dire non riuscire a vedere più nulla. Morale: se una giornata è assolata in collina non è detto che lo sia anche nella statale sottostante:-) 
  • decidiamo insieme alla nostra classmate Alessandra di andare per vigne partendo di casa alle 14:30 sicure che la strada per Treiso e il cammino delle rocche dei 7 fratelli l'avremmo trovata in un attimo. Alle 16:30, col sole che tramontava sul Monviso e non avendo nemmeno una chiara idea di dove fossimo finite ci siamo ridirette ad una più sicura e dolce meta: la pasticceria di Montersino ad Alba. Fotografiamo: cioccolata calda con puro cioccolato fondente al 90% sormontata da candida panna montata, cioccolata fondente sormontata da crema Chantilly e cioccolata con latte di riso. Morale: mai partire vestiti per la vigna se non si è sicuri almeno di vederla (la vigna). Entrare poi da Montersino in pieno centro ad Alba con lo scarponcino da trekking e il pile può risultare quanto mai imbarazzante:-)

  • Metà dicembre: iniziano i viaggi didattici in Piemonte. Prima meta il Consorzio La Granda dove un carismatico e geniale Sergio Capaldo ci racconta della sua storia e di come l'ha intrecciata con quella della razza Piemontese. Dagli strettissimi criteri di allevamento e di macellazione al benessere degli operai stessi che lavorano nel laboratorio, ci incanta per la capacità di farci pensare che ci sono ancora tante cose da fare e che un mondo dove il rispetto viaggia trasversalmente dall'animale al dipendente può esistere. Deve esistere. La visita poi ad un allevamento di bovini di razza piemontese che collabora con La Granda ci fa quasi commuovere per il modo in cui il proprietario parla dei suoi animali: "Stò pensando di diventare vegetariano.. Mi è sempre più difficile mangiare qualcosa che ho visto nascere, crescere e con cui ho convissuto per anni. Se hai pochi capi, questi diventano come degli animale di famiglia, difficile pensare che ad un certo punto della loro vita, hanno i giorni contati."  Morale: dietro la nostra bistecca c'è un mondo da scoprire, spesso di una sensibilità fuori dal comune.
  • visita alla sagra del cappone di Morozzo e successivamente ad un allevamento di capponi: la sagra è il tripudio della cultura italica: tutto il paese, compresa la coppia degli immancabili carabinieri, mangia e beve allegramente a suon di un menù che definire pantagruelico rende pallidamente l'idea. Il cappone nelle sue mille e più possibili declinazioni. L'allevamento e la visita al momento della macellazione dei capponi, invece, mi riservano un momento più amaro con odori colori e rumori di cui non desidero replicare l'esperienza.  Morale: sono certa che se tutti noi vedessimo macellare un animale la quota di vegetariani si innalzerebbe di qualche milione.
  • Cantina di Fontanafredda: dove metti Farinetti qualcosa salta fuori, è un moderno Re Mida: che tocchi una lavatrice, un salume od un vino quello diventerà oro (e pure in breve tempo). Fontanafredda è paesaggisticamente e architettonicamente stupenda. I vini non sono ovviamente da meno, una menzione speciale al barolo ed al nebbiolo, ma sinceramente tutto quello che abbiamo assaggiato era divino. La cantina è anche gestita magistralmente, due su tutti gli esempi: il negozio dove oltre i vini vendono anche libri dei più svariati autori e temi (una libreria con rivendita di vino potremmo definirla) e il ciclo di conferenze gratuite che sono partite il mese scorso: chi non prenderebbe in simpatia qualcuno che ti offre gratuitamente la possibilità di ascoltare Ezio Mauro?! Morale: investire una parte dei  propri profitti nella cultura funziona sempre.

  • Lavazza. Il colosso del caffè italiano è nato a Torino dove ancora adesso ha la sede direzionale e produttiva e dove sbarchiamo anche noi durante una mattinata serenissima. Il polo è immenso (qualcosa come 90.000 metri quadrati), l'odore del caffè penetrante, il caffè che ci offrono ottimo (così mi dicono, io non lo bevo e chiedere un caffè d'orzo mi sembrava un tantino fuori posto:-) i biscottini e la Sacher di accompagnamento ci fanno partire col piede giusto mentre il cucchiaino disegnato da Oldani non lo capisco: dovrebbe permettere di girare il caffè senza rompere la schiuma, a me viene in mente solo che così lo devi bere per forza dalla tazzina. Non ho ancora capito se sia un'invenzione geniale o una stramberia di un cuoco che è famoso per il suo ego ma poco dopo mi accorgo che è diventato o un portachiavi o un ciondolo a seconda delle esigenze. Forse le sue destinazioni migliori:-) Qualche ora di lezione sulla storia sui tipi e sui metodi di produzione del caffè e poi via nelle viscere della fabbrica a vedere tostatrici grandi come condomini, controlli qualità, impacchettamento e il magazzino completamente automatizzato. Letteralmente una città dentro la città. Il pomeriggio è riservato invece al futuro del caffè, quello che io ho sintetizzato nelle due fotografie qui sopra: il caffè di adesso e quello di domani (e mai fu più appropriato "del doman non v'è certezza.."). Lavazza vuole infatti ampliare la propria gamma di prodotti e servire prossimamente nei bar una serie di rivisitazioni dell'espresso: panna montata ed espresso miscelati assieme su fondo di cioccolato fuso, bicchierino con strati di crema al cioccolato, espresso, panna e crema al pistacchio fino ad arrivare a lui: il caviale di caffè servito su panna montata. Come si fa a farlo? Semplice si fa il caffè con una normale moka, poi gli si versa dell'alginato in polvere (sale di sodio derivante da alghe marine che viene usato come addensante) e si fa colare con delle piccole pipette in una soluzione di acqua e calcio. La reazione tra l'alginato e l'acqua calcica formerà queste piccole sfere dette "caviale di caffè", che non sono nient'altro il caffè che avreste avuto da Adria prima che chiudesse i battenti. Com'è in bocca? Anche qui io non sono la tester migliore ma i commenti viravano dall'interessante alla schifezza totale. Morale: il futuro è pieno di incognite e anche l'espresso è in pericolo.

Ancora buon anno a tutti!

martedì 22 novembre 2011

Di formaggi e virtù


#1 lezione

Prime settimane decisamente multidisciplinari: dalla chimica alle produzioni vegetali, dall'antropologia alla storia degli insaccati. Difficile scegliere cosa riportare come lezione della settimana, cosa potrebbe interessare e insieme far capire quanto è vasto il mondo che studiamo.
Alla fine la scelta è caduta su una bella lezione di storia dell'alimentazione tenuta dalla Prof.ssa Campanini riguardo al cambiamento di reputazione del formaggio nella storia occidentale. 
Se per noi è scontato considerare il formaggio come uno degli alimenti nobili che arrivano sulle nostre tavole (aggiungo che anche il prezzo aiuta a fare questa associazione:-) in passato non era assolutamente così: sia i Greci che i Romani avevano una pessima opinione sia dei formaggi sia di chi li consumava: le popolazioni del nord Europa, i Barbari.
Barbari che si meritarono questo epiteto, non solo per il modo di parlare ma anche per il consumo di formaggi, simbolo stesso di una civiltà che coltiva poco, rimasta ad uno stadio di civilizzazione inferiore rispetto ai Romani, uno stadio infantile "da latte" per l'appunto. 
I Romani consideravano i latticini adatti alla sola alimentazione dei contadini, un tipico alimento per il popolo ignorante che viveva fuori le mura della città (e della civiltà).
Durante il Medioevo ci fu un primo cambiamento di reputazione del formaggio: da una parte l'avversione per il mondo caseario rimase molto forte, dall'altra parte l'attuazione di un rigido e rigoroso calendario cattolico nei monasteri e in seguito nella vita di tutti i giorni della popolazione cambiò molto il modo di vedere e consumare questo alimento. Il calendario cattolico prevedeva infatti dei giorni   e dei periodi di magro nei quali vigeva il divieto assoluto di mangiare carne: ecco che i formaggi diventano essenziali per coprire il fabbisogno proteico durante questi lunghi periodi.
Sempre nel Medioevo anche la figura di Galeno assicura una certa riabilitazione dei latticini nello star system alimentare: le sue teorie riguardo alle qualità che caratterizzano gli esseri viventi (caldo, freddo, secco e umido) e alla successiva necessità di dover bilanciare questi elementi in modo armonioso per mantenere l'equilibrio nel nostro corpo, portano ad accostamenti che sono tuttora frequenti nella nostra dieta: formaggio e frutta (il caso più famoso è il formaggio con le pere) e il prosciutto crudo con il melone. Il formaggio è infatti visto come caldo e secco ed è quindi da abbinare a qualcosa di freddo e umido come la frutta per compensare e rendere neutro il connubio.
La figura che però più di tutti segnò la fine della visione del formaggio come alimento pericoloso e immagine di inciviltà, è stata Pantaleone di Confienza: siamo nel 1477 e questo Petrini ante litteram scrive una enciclopedia sui formaggi divisa in tre parti: la prima riguarda le tecniche di produzione di vari formaggi selezionati tra il Nord Italia e l'Europa continentale, la seconda tratta le aree di produzione e le caratteristiche dei medesimi e la terza gli abbinamenti galenici migliori con i vari tipi di formaggio. Il trattato (uscito con Slow Food editore con il titolo "Trattato dei latticini") riuscì a modificare definitivamente l'idea dei formaggi come di un cibo malsano e pericoloso, sdoganando invece l'immagine di un alimento necessario nella mensa di ogni signore, re e papa.
Da quel momento in poi la storia è nota: i formaggi sono da qualche secolo simbolo di ricchezza, prosperità e da qualche anno vengono perfino usati i formaggi più prestigiosi come garanzia per fornire prestiti: alcune banche infatti sono finite all'onor della cronaca perchè attrezzate con dei caveaux per le forme di Parmigiano Reggiano.
Più cambio di reputazione di così...!


lunedì 14 novembre 2011

Annusando il territorio


Tempo di nebbia qui nelle Langhe, nebbia che ha l'odore della brina della notte che verrà, dei camini accesi nelle case di campagna e di profondo ed intenso autunno. Quello vero, quello che si tinge di mille colori, che riempie i mercati di zucche e che trasforma le vigne in tavolozze di colori sulla variante dei colori più caldi e brillanti. In poche parole queste zone sono magiche d'autunno, forse più di quanto potessimo immaginare.
Pollenzo per quanto sia veramente minuscola (una piazza ed un dedalo, dicesi dedalo, di vie) regala degli scorci magnifici con la luce di taglio di questa stagione: la basilica, la torre ed il complesso dell'Agenzia, formano un miglio quadrato ad alta densità di bellezza.
           
  

Nel complesso dell'Agenzia sono presenti l'Università, la Banca del Vino, un bar e due ristoranti. Uno di questi è Guido. Non un locale qualsiasi, bensì uno dei riferimenti storici della ristorazione italiana,  un posto che da decenni offre i classici della cucina piemontese con una attenzione quasi maniacale per le materie prime (molto carina è l'idea di montare un video della cucina durante il servizio, la musica di Jamiroquai ci sta proprio tutta:-).

Conosciuto qualche giorno fa l'headchef  di Guido (Ugo Alciati) per organizzare la cena di Natale di facoltà, siamo rimaste sorprese dalla sua gentilezza e disponibilità, niente a che vedere con lo stereotipo del cuoco isterico e sgradevole che Master Chef ci propone settimanalmente: Alciati, preso pure a sorpresa, ci ha fatto accomodare e si è seduto con noi cercando di venirci incontro in ogni modo per permetterci di fare un'autentica esperienza d'haute cuisine.

Autunno, vigne, Langhe manca solo lui per completare il quadro: il tartufo bianco d'Alba.
Ogni anno a novembre si tiene la fiera omonima e durante l'ultimo giorno si battono all'asta, in diretta con New York, le maggiori pezzature del tubero più pregiato al mondo: americani, giapponesi e cinesi  gareggiano a suon di centinaia di migliaia d'euro per aggiudicarsi il master piece
La fiera è in realtà un tributo all'intera gastronomia piemontese: si possono infatti acquistare tome, nocciole, paste fresche, vini e miele, in più degustazioni guidate e mini ristoranti dove farsi preparare un piatto di tajarin ricoperto di preziose scaglie.

Nel lento ritrovare i nuovi punti di riferimento per le nostre compere alimentari, il mercato bisettimanale di Bra è già diventata una abitudine consolidata. L'offerta di verdura, frutta, formaggi e pesce è ottima e ci si imbatte facilmente anche in qualche banco che è da solo una vera e propria sinfonia dell'autunno insieme ad un pizzico di pragmatismo di campagna.


Passeggiando qualche giorno fa a Cherasco ci siamo accorte come in un mese questi posti ci siano entrati nel cuore molto più che Parma in tre anni. Le dolci colline delle Langhe parlano e raccontano di cibo in ogni loro angolo e Slow Food, ne siamo sicure, non poteva vedere la luce da nessuna altra parte d'Italia.


lunedì 31 ottobre 2011

La prima settimana ed una nuova rubrica


Prima settimana passata nelle medievali aule dell'università, prima settimana di tanti volti nuovi, prima settimana anche nella casa nuova e pure prima influenze: non ci siamo dunque fatte mancare veramente niente:-)

Le lezioni fino a febbraio avranno lo scopo di allineare la preparazione gastronomica di noi specialisti provenienti da facoltà molto diverse tra loro, per noi quindi gran rispolvero della triennale: dalla storia della gastronomia, all'antropologia, all'economia agro alimentare, alla chimica del gusto fino al turismo enogastronomico e pure un pò di diritto per condire il tutto.

Due volte a settimana avremo anche degli incontri, in comune con il triennio, di cosiddetta didattica integrativa, ovvero interviste e dibattiti con gli esponenti del mondo gastronomico italiano ed internazionale. Abbiamo già avuto il piacere di assistere alla prima "lezione" che si è svolta come una tavola rotonda tra noi studenti e gli insegnanti: essere di nuovo immersi in un mondo parallelo dove si parla solo degli argomenti che ci appassionano di più, disgutendone con persone che da decenni conoscono e sviscerano in ogni particolare questo mondo, è una sensazione meravigliosa ed un pò magica. Mentre sentivo parlare persone provenienti da tutto il mondo di cibo e alimentazione mi sono sentita incredibilmente bene, come se quello fosse il mio spazio, la mia dimensione, il mondo dove poter finalmente dire: "Ecco qui è dove mi sento perfettamente a mio agio, dove mi rendo conto che quello che penso e che dico viaggia nella stessa direzione di altre decine di persone. Qui penso proprio di aver trovato il mio settore, dove investire per il mio lavoro e la mia vita, la ricerca dopo 24 anni è forse finita. Ci siamo"

La sensazione mi ha dolcemente cullata in tutti questi giorni e piano piano stò pensando a dove voler indirizzare tutta questa "foga gastronomica": potrei pensare di fare un percorso accademico all'interno dell'unisg o invece di volare in aziende o consorzi o ancora di ideare qualcosa tutto mio, di creare qualcosa che ancora non esiste in questo mondo: sì lo so le idee sono tante e molto nebulose ma mi sento in un periodo veramente magico dove tutto è potenzialmente alla portata di mano e dove posso costruire e disfare il mio futuro semi a piacimento, gettando le basi per la vita: del resto, se non ora quando? (e chiedo scusa alle donne del movimento per aver rubato lo slogan:-)

Altra piccola novità è la nuova rubrica: l'idea è nata percependo quanto interesse c'è attorno a questo mondo e soprattutto quanto intorno ad una università che lo studia: 
Ma esattamente cosa insegnano?                    
Ed in che modo riescono a declinare il cibo in così tante materie? 
E poi, ancora, chi sono gli insegnanti/gli esperti di questo mondo?

Ecco noi abbiamo pensato alla risposta: una volta a settimana proporremo la lezione più interessante, quella che potrebbe rispondere alle domande che forse vi siete sempre fatti riguardo al gusto/il biologico/le politiche agricole/il marketing.. 
Un modo per coinvolgere sempre più persone in un mondo che ci riguarda tutti molto da vicino!    

giovedì 20 ottobre 2011

One way to Pollenzo

Qui All around the food, qui ultima giornata nelle rispettive case, domani in mattinata si parte destinazione Pollenzo: one way questa volta.
Macchina caricata (leggesi non c'è più nemmeno lo spazio per il barattolo di marmellata homemade), un pò di emozione all'idea di rifare tutto di nuovo da capo un'altra volta ma la voglia è tanta, tantissima. 
Non vediamo l'ora di conoscere, degustare, imparare, toccare e poi sentire tutto il mondo che ci si scoprirà davanti nei prossimi due anni.
L'eccitazione è alle stelle e ancora non ci crediamo di essere così fortunate da essere nel posto giusto al momento giusto. 
We are coming Slow Food world!

mercoledì 12 ottobre 2011

Da Gente del Fud alle pecore adottate per regalare un futuro all'Italia


                    

Non ho fatto piazza pulita di un anno di Inghilterra e non ho preso allucinazioni date da voglia di maternità improvvisa: no no, qui si tratta proprio di Gente del Fud e delle pecore da adottare. 
Due progetti molto diversi, un'anima comune: fare qualcosa per salvare il cuore agricolo e pastorale del nostro Paese, aiutare chi da anni ci permette di mangiare ogni giorno ma che da qualche tempo non riesce più lui a portare qualcosa in tavola.
Gli indiniados sbarcano anche qui su All around the food: siamo noi che ci svestiamo dai panni di piccole scovatrici di tesori italiani e indossiamo le vesti di chi dice che per quanto ci sia Slow Food, le DOP e gli IGP, i finanziamenti della Comunità Europea e la moda della gastronomia qui tutto non stà proprio procedendo per il meglio. 
Quest'anno la frutta e la verdura è stata pagata talmente poco agli agricoltori che molti hanno preferito lasciar marcire tutto sulle piante o addirittura eliminare le colture: con i pomodori pagati 0,30 €/kg (e parliamo di quelli di Pachino valutati molto più delle altre cultivar, immaginatevi il resto) gli agricoltori non riescono nemmeno a pagare l'acqua per irrigare.
Non va meglio per chi coltiva i cereali, la base del prodotto trasformato più mangiato in Italia: la pasta.
Da qualche anno il mercato cerealicolo è in mano ad alcune multinazionali che riforniscono i pastifici di tutto il mondo unendo il grando duro proveniente da tutti i continenti: grano che ovviamente pagano alle stesso modo sia che il contadino sia italiano/iraniano/brasiliano o indiano. Peccato che le spese di produzione siano molto diverse e l'unico risultato è per il momento quello di aver creato una moria di campi coltivati a grano duro in Italia. Non ha più senso lavorare la terra per perderci cronicamente i soldi guadgnati faticosamente dalle generazioni precedenti.
Un dato su tutti? Negli ultimi 10 anni abbiamo perso di superficie coltivata una regione vasta quanto il Veneto.
Per quanto spesso siamo immerse in una realtà bella buona e giusta (come dice lo slogan:-) come quella di Slow Food, l'ultima puntata di Presa Diretta ci ha fatto amaramente ripiombare nella realtà nuda e cruda che vive l'agricoltura italiana in questi anni: c'è molto e molto da fare e tristemente ci sono ben poche persone al governo consce del rischio che stà correndo il nostro paese: quello di essere tra pochi anni alle dipendenze agricole di altri stati per le grosse quantità di materie prime, mentre di rimanere la culla delle piccole produzioni di nicchia. Come dire che la politica di smantellamento del welfare state si stà abbattendo anche sull'agricoltura: a chi se lo può permettere faremo mangiare il meglio, ultra biologico e multi marchiato e chi non arriva alla fine del mese si accontenterà della pasta vietnamita del Lidl. E tanti saluti alla cultura agricola e pastorale che ci accompagna da millenni più anche tanti baci alle conseguenze di una probabile dipendenza da un paese distante migliaia di km. 

Dopo la sfuriata da indignados (se non avete visto la puntata di Presa Diretta vi consiglio veramente di spendere una mezz'oretta del vostro tempo a collegarvi al link qui sopra), passiamo al vero tema di questo post, le due iniziative che fanno sorridere, sperare e ringraziare di vivere nell'era web, dove a portata di click si può fare tanto per aiutare tanti.

Gente del Fud: il progetto porta la firma Garofalo (la famosa azienda che produce solo pasta di Gragnano) e consiste nella creazione di un'enorme database dei prodotti tipici italiani creato da blogger selezionati per l'arduo compito (e qui parte l'annuncio: ci siamo dentro anche noi!!). Ogni prodotto recensito avrà una scheda dove sarà riportata la natura del prodotto, le sue caratteristiche organolettiche, dove lo si può acquistare e la ricetta per degustarlo al meglio. Queste schede formeranno una cartina interattiva dell'Italia che diventerà una vera e propria mappa per tutti gli appassionati del buon cibo. Scopo di tutto questo? Far conoscere il più possibile i prodotti che rischiano di scomparire per mancanza di attenzione e di una adeguata vetrina dove apparire. Inserirli in un circuito di foodies che mangiano il territorio per conoscerlo ed apprezzarlo è sicuramente uno dei modi più efficaci per garantirgli un futuro. 
Quindi direi che un applauso alla Garofalo per tutto quello che stà facendo ci stà proprio:-))))

Adottare una pecora: chi ha prestato un pò l'orecchio alle rivolte che stanno infiammando la Sardegna in questi ultimi mesi sa già di cosa stò parlando: i pastori sardi sono scesi più volte in strada per protestare, loro con quello che gli viene pagato il latte non riescono proprio più a sopravvivere. Anzi magari sopravvivessero, molti si sono persino visti pignorare la casa dalle banche a causa dei mutui che non riescono più a pagare, aperti anni fa per modernizzare l'azienda e ora vivono in baracche, provvisorie come la loro vita. Alcuni anni fa alcuni pastori hanno smesso di pensare che l'aiuto potesse arrivare dall'alto e hanno cominciato a usare un filo più diretto per raccogliere fondi: l'adozione a distanza del gregge. Tu adotti una pecora, gli dai il nome che vuoi, hai la produzione di pecorini e lana derivata ed in cambio mi dai una quota fissa all'anno, proprio come si fa quando adotti un bambino del terzo mondo. L'idea è piaciuta e ora tante zone meno famose del "distretto sardo della pecora" permettono di adottare le proprie pecore, come ad esempio qui, qui e qui. La quota da versare varia dai 100 ai 400€ (a seconda della razza della pecora, dalla quantità di pecorino che ti viene assegnato ect..) quasi ovunque pagabili a rate. 
Ora considerando che sempre più spesso non sappiamo cosa regalare a Natale/compleanni e anniversari vari e notando che noi non abbiamo realmente bisogno di qualcosa, perchè non regalare una pecora? L'articolo è indubbiamente originale, la sorpresa è sicura, è un ottimo investimento scaccia crisi (io ottengo formaggi e lana e i pastori riescono ad arrivare alla fine del mese) e fa del bene a tutti noi. Perchè non pensarci seriamente?! Se proprio avete in antipatia le pecore si può fare anche con capre, mucche e cavalli.. 

Quest'anno io adotto e voi?!



venerdì 30 settembre 2011

Se un week end d'autunno un viaggiatore..


Piemonte, Piemonte e ancora Piemonte!

Questo è sicuramente il leit-motive delle ultime due settimane, il filo conduttore di una quindicina di giorni che ci hanno visto fare colloqui di ammissione all'università, trovare casa in quel di Pollenzo, partecipare a Cheese e aiutare una nostra amica in un matrimonio dai sapori di altri tempi. 


Proprio il matrimonio ci ha permesso di scoprire un posto dal fascino antico, una meraviglia di coorte adagiata sulle colline del chivassese che tra simboli massonici e stanze che hanno ospitato alcuni degli artefici dell'Unità d'Italia ci ha letteralmente incantato.

Meravigliandomi di tanto splendore non ho potuto fare che le solite riflessioni di questo periodo: quanto è bello il posto dove vivo, quanto si potrebbe fare e quanto non si fa e da lì via fino ad arrivare ad una frese di Goethe che al tempo del liceo mi aveva illuminato: "Sono più barbare le civiltà che hanno prodotto poco ma quel poco lo mantengono al meglio, o chi avendo tutto lo lascia andare in rovina?" Scontata la risposta, delirante pensare che lo diceva duecento anni fa e che quindi, anche solo per un fattore meramente fisico, tutto doveva essere ridotto meglio di adesso:-)

  
Castello di San Sebastiano Po, adagiato sulla collina della frazione Villa: stampo medievale rifacimento nell'800: ora nel 2011 è un bed and breakfast estremamente curato dove l'intento è semplicemente quello di mantenere inalterato il fascino che trasuda da ogni muro, ogni cortile, ogni stanza che profuma ancora di legna bruciata nei secoli.
La ristrutturazione nell'800 fu fatta secondo dettami ben precisi: quelli della Massoneria. Vi ritroverete così a calpestare numeri dieci scritti al contrario sulle scale principali d'ingresso, a visitare il vecchio tempio da cui una volta si accedeva all'intero castello e a scoprire che ogni parte della magione è orientata nello spazio in modo ben preciso. 
Non sono così esperta da capire se tutto questo ha giocato un ruolo chiave sull'espressione meravigliata sul mio volto ma sicuramente il luogo ha un'energia speciale e alla sera con i piccoli lampioncini in ferro battuto che illuminano il cortile di una fioca luce gialla, niente ci potrebbe distogliere dall'idea che siamo finiti in una scena del Conte di Montecristo:-)


Il proprietario di tutto questo è Luca, gentilissimo e adorabile "castellano", che ha dato in mano la parte ristorativa alla nostra amica Elisabetta, laureata anche lei in Scienze Gastronomiche che si occupa di preparare colazioni, pranzi e cene ai loro ospiti del b&b e che in ottobre aprirà quassù un laboratorio di trasformazione della nocciola, coltivata nei terreni della sua famiglia (qui siamo al super km 0). 
Elisabetta in questi tre giorni passati assieme ci ha anche fatto conoscere un suo vicino di casa particolarmente famoso, Fabrizio Galla
Non è un nome così conosciuto al grande pubblico, nessuna apparizione in tv, niente libri a suo nome ma semplicemente un terzo posto come il miglior pasticciere al mondo ai campionati mondiali di pasticceria di Lione.


Fabrizio inoltre ha vinto anche il premio di miglior pralina di cioccolato al mondo e un premio speciale come miglior torta al mondo. Queste le credenziali. Davvero non male.
Ora è ovvio che dopo questa dritta non potevamo assolutamente perderci la possibilità di assaggiare un pò delle sue creazioni e così tra una pausa e l'altra di lavoro ci siamo tuffate in un mondo di perfezione assoluta, di precisione fuori da ogni limite e di un equilibrio di sapori e combinazioni mai provato.
Ed ecco il risultato dei nostri sforzi:-)


Abbiamo scelto molto a naso. Quello che ci ispirava per forme, colori e consistenza: piccoli bonet in vasetti di cioccolato (questi in primo piano), variazione sul pistacchio e sulla nocciola (buoni ma forse un pò troppo delicati), omaggio al caffè con un cioccolatino multipiano (divino) e piccole mousse di nocciola ricoperte al cioccolato e oro alimentare su vassoietto di cioccolato. 
Complimenti scontati, una mano particolare sul cioccolato si notava davvero: rispetto agli altri pasticcini avevano una marcia in più.
Fabrizio produce anche creme di cioccolato (al latte, fondente e gianduia) e un misto azteco speciale per la cioccolata in tazza a casa.


Il break è finito, bisogna tornare nel magico castello per preparare il rinfresco della sera. Fortunatamente     il ricevimento del mezzogiorno è più lungo del previsto e noi possiamo permetterci di curiosare ancora un pò tra le mura ed i giardini della magione, scoprendo l'ultima meraviglia che ci riservava questo week end d'autunno: le vecchie serre in legno, anni fa utilizzate anche dall'Università di Torino per i propri studenti di Agraria, ora in parte dismesse.


E così al calare della luce del sole, termina qui anche il nostro fine settimana piemontese... Consce che tra poco meno di un mese questa sarà la nostra nuova terra...



sabato 10 settembre 2011

Monticelli, la brasserie in sauce italienne


Ho sempre pensato che la campagna stà al giorno quanto la città stà alla notte.
Se le spighe del grano mosse dal vento e il rosso brillante dei pomodori sono uno spettacolo ovviamente diurno, gli scorci notturni dei centri storici, illuminati da fioche luci color paglierino, regalano invece alle città assopite una magica atmosfera un pò retrò che ben si addice ai borghi ottocenteschi delle vallate del centro Italia.
Campobasso non fa eccezione: è una città che di giorno non può offrire altro che un paesaggio di tipica devastazione urbanistica anni '60 (con punte di bellezza come i palazzi fascisti del centro:-), ma di notte, all'interno delle sue intricate vie centrali, si respira aria di decadenza mista alla voglia di rimpossessarsi della vecchia (e vera) anima della città.
Chi da anni cerca di non far morire il centro storico sono a sorpresa molti ragazzi, che usano i vecchi palazzi di sasso per creare nuovi ristoranti, enoteche e b&b di charme, tutti diciamo con parecchio successo.
La nostra personale scoperta è stata quest'anno il piccolo e delizioso ristorante Monticelli, nascosto tra i vicoli (ma molto ben segnalato) verso il castello di Monforte, che regala una graditissima sorpresa: i proprietari non hanno voluto restaurare solamente il proprio stabile ma anche quelli attigui, creando così una piazzetta ad angolo 
completamente rimessa a nuovo.


Tra vasi di terracotta, candele, tovaglie a quadretti e muri in pietra a vista, l'atmosfera è esattamente quella di tante brasserie provenzali: piccoli posti pieni di fascino dove qualsiasi cosa servita ti sembra all'istante buonissima e tipicissima (ma del resto loro hanno una cultura di marketing ristorativo e gastronomico che noi manco ci 
sogniamo:-).
Al servizio c'è Stefano, laureato in Economia ma con la passione per il cibo,che ci elenca subito i piatti del menù, consigliandoci le specialità e ponendo l'accento sui prodotti tipici utilizzati in ogni piatto. 
Le nostre scelte ricadono così su uno sformatino di melanzane con mozzarella di bufala e pomodorino ed un altro sformatino di patate, salsiccia e verza con cialda al Parmigiano.
Entrambi molto buoni ma sicuramente più particolare il secondo.
Per il primo arrivano invece una crema di fave con cicorietta saltata e gnocchi di patate e ceci con funghi freschi e pomodorino. 
Semplicemente ottimi.
Dolci casalinghi, ma eseguiti bene, per noi un semifreddo al cioccolato bianco.
Carta dei vini quasi totalmente concentrata sulla produzione molisana.
Al momento di pagare (conto onestissimo) riusciamo a conoscere anche la chef, Simona, una laurea in giurisprudenza e la voglia di abbellire la propria città cucinando i suoi prodotti, in modo curato ed originale non perdendo mai di vista la vocazione del 
Monticelli: una piccola brasserie francese in salsa molisana e che forse, 
proprio per questo, vale doppio:-)
Il ristorante non ha sito web.
Ristorante Monticelli, vico Monticelli 16,
Campobasso.
N°tel:  0874 418460

venerdì 2 settembre 2011

Agosto all'italiana (peaceful countryside:-)


Agosto: mese di evasione, di silenzio, di ricarica, di (ri)scoperta di quell'Italia placidamente assopita nelle sue colline.
Per me agosto vuol dire soltanto questo: lasciarmi alle spalle un mondo di code, spiagge, traffico, odori di solari e sciabattamenti vari e ritirarci nell'Italia del countryside, quella che si ripopola di forestieri (termine adorabile per indicare quegli stranissimi tizi che ogni estate partono dalle Americhe per tornare nella patria natia:-), quella delle fattorie e dei ghiri di notte, quella della brezza della sera sotto il centenario noce del giardino, quella del "oggi sono perfetti i fiori di zucca, andiamo a coglierli?!".


Agosto fuori da tutto quindi: personalmente non potrei chiedere di meglio, da allergica quale sono ai mesi estivi (e aggiungo che finalmente il calendario segna settembre:-))
Agosto gastronomico? Sì anche ma in modo molto diverso dal resto dell'anno, la spesa si fa per lo più nell'orto, le mozzarelle sono a km 0 (forse al massimo 3:-), il pane è quello che si mantiene fresco per 10 giorni (avete presente quelle pagnotte stile famiglia di 10 persone?! ecco quelle), i fichi sono quelli degli zii di fianco. Niente ristoranti: tutto è troppo buono e a portata di mano per pensare di non farlo da sè.


Agosto ha significato anche una breve gita a Napoli (molto frustrante dal punto di vista gastronomico, era infatti tutto incredibilmente chiuso) e la scoperta di una chicca di ristorantino nel cuore di Campobasso, uno di quei posticini che ti fa capire come nell'Italia della crisi, della scomparsa delle province (ma poi sono ricomparse per poi scomparire di nuovo, roba da farti venire una seria crisi d'identità:-) si possa far rinascere un angolo di centro storico, semplicemente valorizzando ciò che abbiamo: storia e gastronomia. Miscelare, condire con un ombrellino di stile e intelligenza dei proprietari ed il gioco è fatto. Semplice no?!


sabato 23 luglio 2011

Un futuro @ chiocciol@



Dopo aver fatto qualche riflessione sul ritornare a casa e dopo aver congedato con un ultimo post l'anno britannico è ora di voltare pagina, di guardare al futuro. 
Futuro che ha sembianze lumacose (o chiocciolesche?!) e che sarà vissuto nelle slow hills più famose del mondo: le Langhe. 
Proprio lì infatti sorge l'università di Slow Food, un piccolissimo ateneo fondato da Carlo Petrini nel 2004, per formare ragazzi (provenienti da tutto il mondo) alla nobile scienza della gastronomia in tutti i suoi molteplici aspetti: economia, storia, marketing, aspetti microbiologici e chimici, giornalismo, logistica dei trasporti, diritto: il cibo si può studiare e declinare in mille modi:-)
L'università si è imposta in pochi anni come un gioiellino didattico, un'oasi felice dove le percentuali di occupazione dopo la laurea raggiungono la sbalorditiva cifra dell'80% e dove la componente straniera nei corsi (sono tutti sia in italiano che in inglese) è altissima.
Con queste premesse quando ho saputo che avrebbero organizzato un open day per le future matricole (nooo! di nuovo?!) mi sono subito iscritta per vedere e toccare con mano cotanta organizzazione e 
assaggiare quello che spero (finchè non ho la conferma dell'ammissione, meglio tenersi sul vago:-) sarà il posto dove spenderò i miei prossimi due gustosissimi anni.

Ovviamente l'open day non mi ha deluso, a partire dalla borsina dell'università gentilmente offerta con all'interno già pronto tutto il materiale per la specialistica, alla chiarezza dei professori nello spiegare il metodo didattico con alcune frasi illuminanti ("non si può pensare di studiare il cibo senza assaggiarlo e vederlo fare nel posto d'origine", sembra ovvio ma vi assicuro che non lo è), al vassoio di pasticcini piemontesi offerto durante il break, a tutti i numeri di telefono per avere eventuali chiarimenti, fino alla visita dei locali dell'università, uno più bello dell'altro.

Con gli occhi pieni di meraviglia, dopo tre ore sono uscita da questa "città del gusto" estasiata e conquistata dal modo in cui la allora visionaria idea di Petrini di creare una università monotematica, è stata concepita e realizzata (e pure migliorata) negli anni.

Le campane suonano mezzogiorno e alzando brevemente lo sguardo per intercettare il campanile, vedo Bra che si staglia dalla collina dove è adagiata. Nella cittadina oggi è giorno di mercato e per di più c'è l'osteria dove ha la sede nazionale Slow Food: l'Osteria Boccondivino.
Trovarla è facile, meno scegliere cosa mangiare in un tripudio di specialità piemontesi, propendo così per un classico ultra leggero vista la temperatura: tonno di coniglio grigio di Carmagnola (ovviamente presidio Slow Food:-). 
Giusto il tempo dell'attesa per assaporare questo locale fuori dal tempo, all'interno di un cortile di una vecchia casa con i ballatoi esterni.. Il giardino degli aromi è di fianco al nostro tavolo, i cuochi escono per raccogliere cosa gli serve, le cameriere nel frattempo salutano gli inquilini dei ballatoi..
Il tutto in un'atmosfera intrinsicamente slow.   

PS: Mi scuso per la qualità delle foto, ma la food blogger addetta alla fotografia è rimasta a Londra fino a fine mese così io devo far da me con il cellulare..

sabato 16 luglio 2011

Tips&trips


Dicevamo per l'appunto riguardo ai pezzi di vita inglesi trapiantati qui in Italia alla velocità di un oretta scarsa. Gli ultimi tasselli di questo pesante (più di 30 kg di bagagli:-) mosaico sono state le fotografie e tra di esse sono spuntate quelle dell'unico one-day-trip che abbiamo fatto: Brighton.

Fine giugno, giornata caldissima anche per noi italiani, città semi-vuota, la vecchia abitudine universitaria di percorrere nella bella stagione la Parma-La Spezia per sbucare nella meravigliosa Lerici appena due ore dopo: pochi (nostalgici) elementi che ci hanno convinto a voler vedere un po' di "mare inglese" e farci un'idea di cosa fosse l'Inghilterra fuori da Londra.

Brighton. Esci dalla stazione e ti sembra di essere a S.Francisco, tutto un sali e scendi di colline che portano all'oceano, atmosfera molto freak, universitaria, disimpegnata. Arrivi nel piccolo centro storico dove per una volta ringrazi il cielo di non vedere la solita parata di Eat!, Pret a manger, Starbucks e Costa e invece assapori i piccoli negozietti e caffetterie che qui incredibilmente resistono ancora, poi noti i numerosi negozi vintage ed il primo supermercato bio inglese (aperto addirittura negli anni '70!). Il posto ci piace, ha una sua anima, forse un pò caricata ma comunque ce l'ha. Passiamo oltre il famoso Royal Pavillion e ci ritroviamo in una piazzetta dal sapore molto francese per scivolare poi in una piccola via che porta al lungomare (o lungoceano?!) dove ci sarebbe dovuto essere il posticino che avevamo scelto per pranzare: uno dei più vecchi ristoranti veg della città, consigliato in tutte le guide e blog inglesi: Terre à Terre.   

L'inizio non è facile, il menu è complicatissimo: i piatti sono composti da una miriade diversa di ingredienti, i quali a loro volta sono del tutto sconosciuti, anche con l'aiuto del dizionario gastronomico non ne veniamo fuori. Pazienza, ci butteremo più o meno a caso, mangeremo cose sconosciute e ci arrovelleremo il cervello tutto il giorno su quella strana radice/foglia/spezia:-)



Il risultato ha superato le nostra aspettative: uno stranissimo rösti su latte di cocco sormontato da lenticchie rosse in umido e halloumi fritto per me, un piatto quadricomposto per l'altra food blogger con un tripudio di chutney, intingoli, lenticchie e focaccine. Tutto stranissimo, molto speziato ma assolutamente buono.
La scelta dei dolci ci appare subito più semplice e io mi innamoro all'istante di un dolcetto di pistacchi all'acqua ai fiori d'arancio, con albicocche al cardamomo e bicchierino di caffè aromatizzato al medesimo. Mai scelta fu più felice:-)

All'uscita ci dirigiamo verso il lungomare, dove rimaniamo basite: la Brighton appena descritta non esiste più, la sua anima si deve essere rintanata in quel dedalo di viuzze dopo essere stata sconfitta da un turismo di massa che vuole un Mc Donald's anche a bordo spiaggia. 
D'improvviso la gente è tutta in sovrappeso, l'odore nauseabondo di fritto si mescola con quello di caramello creando un mix micidiale, una sorta di odore alza-colesterolo e glicemia. 
Il nostro sguardo intercetta il Pier, il vecchio pontile in stile liberty ora adibito a parco giochi, esempio brillante di come abbruttire il passato. Il Pier però ha un vantaggio: è abbastanza lungo per regalare una buona panoramica della "marina di Brighton" e farsi così un'idea dell'insieme.
Ebbene l'insieme è piuttosto sciatto, decine di palazzi dalla facciata scrostata e molti chiaramente in rovina, corona il tutto un traffico da tangenziale di Milano sul lungomare.
Mah. 
Descritta come la perla delle località marittime dell'Inghilterra, ci aspettavamo qualcosa di veramente speciale o quantomeno una pulizia e cura degne del "luogo preferito dei Londinesi dove avere una seconda casa" (Lonely Planet).


Finita la cronaca del nostro unico giretto fuori Londra, ecco la parte dei "tips" ovvero dei consigli/trucchetti per chi invece si appresta a fare quello che noi abbiamo appena fatto: passare (more or less) un anno in Inghilterra.
  • Alloggio: Noi non l'avevamo capito così bene quindi mi sento un pò in dovere di ribadirlo: cercare casa a Londra vuol dire essere disposti o a vivere con gente che non conoscete e condividere potenzialmente tutto (camera, bagno e cucina) o altrimenti spendere moltissimo e rivolgersi ad una agenzia. La quale vi chiederà l'affitto anticipato di un anno intero a meno che non abbiate già un contratto di lavoro in Inghilterra e anche a questa condizione non è detto che vi considerino più di tanto. Insomma sarà la parte più difficile dell'avventura, dimenticatevi le vostre condizioni di igiene, ordine e pulizia, preparatevi a moquette in bagno e cucine mai pulite in vent'anni. Per molti l'idea della condivisione è eccitante ad altri terrorizza, per tutti, non sopravvalutatevi troppo: la città è difficile, la lingua è spesso incomprensibile e se anche quando tornate a casa non trovate niente come l'avevate lasciato e tutte le pulizie da rifare potrebbe diventare ben presto un incubo più che una esperienza. Ovvio serve anche questo, ma quando si è là tutto è diverso e si è molto meno comprensivi verso le asprezze della vita:-)
  • Lavoro: se siete cuochi e camerieri no problem, la città pullula di richieste.                                  Per tutti gli altri che vorrebbero fare magari la commessa o coltivano il sogno di lavorare al Borough Market, bè ecco, come dire, lasciate perdere. Nessun datore di lavoro vi prenderà in considerazione se non avete già delle pluri esperienze come commesso o venditore in UK e poi preferiscono prendere degli inglesi per essere sicuri dell'aspetto linguistico. Iniziate da dove lo fanno tutti ovvero dalle catene di caffetterie per poi magari passare a catene di vestiario e così dicendo. A mio avviso è l'unico modo per non perdere troppo tempo.
  • NIN: il codice fiscale inglese si ottiene facilmente con un contratto di lavoro in mano molto difficilmente in caso contrario. Dovrete chiamare un numero dove vi faranno poche semplici domande, vi prenderanno appuntamento in un job center dove con il contratto in mano, il passaporto ed una proof of address vi assegneranno il famoso NIN, che poi vi arriverà per posta qualche giorno dopo. Ovviamente tutto gratis:-)
  • Conto in banca: Barclays. Andate lì non prendete nemmeno in considerazione le altre banche, servono veramente solo 10 minuti ed il conto è gratuito. Vi richiedono il passaporto e la solita proof of address (altro non è che una lettera ricevuta a casa riportante il vostro nome, non vale quella della mamma dall'Italia:-), sono disponibilissimi e sono quelli che vi faranno meno storie di tutti gli altri (un'altra banca a me aveva chiesto addirittura un estratto conto italiano tradotto in inglese!).
  • Spesa: Non è vero che in Inghilterra non ci sia cibo buono e italiano, c'è tutto, solo che lo strapagherete:-) Il supermercato Waitrose è quello che più si avvicina ai nostri standard, troverete persino la pasta Cocco e la passata bio, ovviamente non aspettatevi lo scontrino della Coop. Il modo migliore per approvigionarvi è quello di frequentare i farmer's market: il più grande è a Marylebone, ma quasi ogni quartiere ne ha uno, per le info qui. Per alcuni generi come il Parmigiano il mio consiglio è di portarvelo da casa, là costa ovunque più del doppio, e come si fa a starne senza?!

Dopo aver scritto il post più lungo da quando è nato il blog, dichiaro qui finiti i post a tema Gran Bretagna! 
Dal prossimo il tema sarà molto Slow Foodiano:-)


lunedì 11 luglio 2011

Tornare.



Tornare. Dopo quasi 8 mesi dall'altra parte d'Europa a confrontarsi tutti i giorni con una lingua e cultura che non ti appartiene e con tutte le difficoltà del caso che possono sopraggiungere. 
Tornare. Casa, genitori, un parente in formato peloso che ti fa mille feste, una giornata bellissima e poi il diluvio universale. 
Tornare. Aprire le valigie e cominciare a cercar posto per i tasselli del mondo inglese che ti sei portata a casa. Quanta roba, quanti libri, quanti dvd, quanti scorci di vita trapiantati con una sola ora di aereo. 
Tornare. Il tuo lago, i tuoi scorci e le tue passeggiate preferite. Una cucina piena di frutta, trecce d'aglio ed aromi più che Mediterranei. 
Tornare. Il confronto tra Malpensa ed Heatrow è impietoso, come fa la capitale economica d'Italia ad avere un aereoporto deserto e semi-fatiscente? Dov'è l'efficienza inglese, il suo allegro melting-pot e i collegamenti veloci per il centro città? 
Tornare. Il primo aperitivo, le prime chiacchiere nella tua lingua e uno scontrino di pochi euro.
Tornare e sentirsi in mezzo a due mondi, domandandosi per la prima volta a quale appartieni di più e capendo che forse a nessuno dei due. 
La meta definitiva, forse, deve ancora arrivare.  

mercoledì 29 giugno 2011

Finally, the indian restaurant!


Caratteristica tipica di tutte le cose che si aspettano con ansia è di passare tanto lentamente più sono lontane e tanto velocemente più sono vicine (o è il contrario? Sento pareri discordanti su questa cosa:-), piccolo preambolo per dire che qui manca solo una settimana al mio rientro e io ho ancora un sacco di cose da raccontare e recensire ma pochissimo tempo per farlo, quindi prima che mi perda via tra valigie e altre faccende burocratiche non particolarmente interessanti, passo subito ad una delle scoperte last-minute di questa London experience: il ristorante indiano Chutney Mary.

L'occasione per provare questo gioiellino di posto su cui avevamo messo gli occhi già da parecchi mesi, è arrivata con l'ultima visita di mia mamma a metà giugno che nei suoi ultimi tre giorni londinesi non voleva mangiare nulla che fosse di sembianze e provenienze europee, ma solo autenticamente ed elegantemente etnico.

Detto, fatto:-)  

La scelta è caduta per la prima sera su questo meraviglioso ristorante indiano nell'elegante e da noi sempre più adorata Chelsea (eh vabbè ognuno ha le sue debolezze...), che ospita i propri guests nientemeno che sotto una serra di palme e ulivi, illuminata da un pittoresco gioco di candele che al tramonto (ore 21:30 qui!) ricreano una perfetta atmosfera orientale (di quelle fatte bene, niente a che vedere con le forzature tremendamente kitch di moltissimi locali in zona Piccadilly, per intenderci:-)

Per prendere confidenza con il menu, ci siamo avvalse dell'aiuto di un mojito, stranamente perfetto (che poi qualcuno ci deve spiegare perchè a Londra trovare un buon cocktail bar è una vera mission impossible) e di un sano atteggiamento disinteressato nei confronti dei prezzi delle portate.

Il risultato è stato:
  • tre antipasti: frittelle di granchio con zenzero fresco e coriandolo con chutney di pomodorini, capesante su letto di panna di cocco e zafferano, gamberi alla griglia con pepe lungo semi di sesamo neri e chutney ai mirtilli.
  • tre main courses: un branzino ripieno di pasta di foglie di curry e due gamberi brasati in salsa tandoori decisamente piccante che però riusciva misteriosamente a non sovvrastare il sapore dei gamberi
  • due dolci: un tortino un pò troppo burroso alla pesca e menta e un rice pudding al mango e cardamomo
Il giudizio su tutto quello che abbiamo mangiato non può che essere ottimo, il cuoco è riuscito nella non facilissima impresa di speziare il tutto senza rendere alcunchè immangiabile dalla piccantezza o senza ritrovarsi a pensare se si era ordinato carne o pesce tale è la sovrastatura dei sapori. Quindi come dire, promosso a pieni voti. 

Ma c'è un ma: le portate sono state tutte di grandezza molto esigua mentre il prezzo a loro associato era, inversalmente proporzionale, piuttosto alto, ai limiti della pura esagerazione per alcune cose. Per ovviare ai prezzi ma non perdersi il contenuto (che voglio ribadire è assolutamente da non perdere per chi è appassionato del genere) il solito trucchetto è quello di venire a pranzo quando i prezzi sono molto più bassi e potersi sentire, senza sensi di colpa, delle piccole dee Kalì per un giorno:-)

Se invece il budget è limitato ma non volete lasciare Londra senza essere andate neanche una volta ad un ristorante indiano, l'indirizzo è quello della mini-catena Masala Zone, i quali proprietari sono gli stessi del Chutney Mary ma hanno creato una serie di ristorantini meno d'atmosfera ma dall'ottima qualità prezzo. 
Il piatto unico vegetariano da 12 sterline è per me un must:-)

Per finire una piccola nota.. Il mio ultimo giorno di lavoro si è concluso rivedendo Pino, il poeta romano, che alla notizia che me ne andavo non ha potuto che esclamare "An vedi che hai fatto come te dicevo io? Peccato però per le mie poesie, me piaceva che mi davi retta! Torna a casa, che qui è sempre peggio!"


Certo Pino, corro! 




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