martedì 22 novembre 2011

Di formaggi e virtù


#1 lezione

Prime settimane decisamente multidisciplinari: dalla chimica alle produzioni vegetali, dall'antropologia alla storia degli insaccati. Difficile scegliere cosa riportare come lezione della settimana, cosa potrebbe interessare e insieme far capire quanto è vasto il mondo che studiamo.
Alla fine la scelta è caduta su una bella lezione di storia dell'alimentazione tenuta dalla Prof.ssa Campanini riguardo al cambiamento di reputazione del formaggio nella storia occidentale. 
Se per noi è scontato considerare il formaggio come uno degli alimenti nobili che arrivano sulle nostre tavole (aggiungo che anche il prezzo aiuta a fare questa associazione:-) in passato non era assolutamente così: sia i Greci che i Romani avevano una pessima opinione sia dei formaggi sia di chi li consumava: le popolazioni del nord Europa, i Barbari.
Barbari che si meritarono questo epiteto, non solo per il modo di parlare ma anche per il consumo di formaggi, simbolo stesso di una civiltà che coltiva poco, rimasta ad uno stadio di civilizzazione inferiore rispetto ai Romani, uno stadio infantile "da latte" per l'appunto. 
I Romani consideravano i latticini adatti alla sola alimentazione dei contadini, un tipico alimento per il popolo ignorante che viveva fuori le mura della città (e della civiltà).
Durante il Medioevo ci fu un primo cambiamento di reputazione del formaggio: da una parte l'avversione per il mondo caseario rimase molto forte, dall'altra parte l'attuazione di un rigido e rigoroso calendario cattolico nei monasteri e in seguito nella vita di tutti i giorni della popolazione cambiò molto il modo di vedere e consumare questo alimento. Il calendario cattolico prevedeva infatti dei giorni   e dei periodi di magro nei quali vigeva il divieto assoluto di mangiare carne: ecco che i formaggi diventano essenziali per coprire il fabbisogno proteico durante questi lunghi periodi.
Sempre nel Medioevo anche la figura di Galeno assicura una certa riabilitazione dei latticini nello star system alimentare: le sue teorie riguardo alle qualità che caratterizzano gli esseri viventi (caldo, freddo, secco e umido) e alla successiva necessità di dover bilanciare questi elementi in modo armonioso per mantenere l'equilibrio nel nostro corpo, portano ad accostamenti che sono tuttora frequenti nella nostra dieta: formaggio e frutta (il caso più famoso è il formaggio con le pere) e il prosciutto crudo con il melone. Il formaggio è infatti visto come caldo e secco ed è quindi da abbinare a qualcosa di freddo e umido come la frutta per compensare e rendere neutro il connubio.
La figura che però più di tutti segnò la fine della visione del formaggio come alimento pericoloso e immagine di inciviltà, è stata Pantaleone di Confienza: siamo nel 1477 e questo Petrini ante litteram scrive una enciclopedia sui formaggi divisa in tre parti: la prima riguarda le tecniche di produzione di vari formaggi selezionati tra il Nord Italia e l'Europa continentale, la seconda tratta le aree di produzione e le caratteristiche dei medesimi e la terza gli abbinamenti galenici migliori con i vari tipi di formaggio. Il trattato (uscito con Slow Food editore con il titolo "Trattato dei latticini") riuscì a modificare definitivamente l'idea dei formaggi come di un cibo malsano e pericoloso, sdoganando invece l'immagine di un alimento necessario nella mensa di ogni signore, re e papa.
Da quel momento in poi la storia è nota: i formaggi sono da qualche secolo simbolo di ricchezza, prosperità e da qualche anno vengono perfino usati i formaggi più prestigiosi come garanzia per fornire prestiti: alcune banche infatti sono finite all'onor della cronaca perchè attrezzate con dei caveaux per le forme di Parmigiano Reggiano.
Più cambio di reputazione di così...!


lunedì 14 novembre 2011

Annusando il territorio


Tempo di nebbia qui nelle Langhe, nebbia che ha l'odore della brina della notte che verrà, dei camini accesi nelle case di campagna e di profondo ed intenso autunno. Quello vero, quello che si tinge di mille colori, che riempie i mercati di zucche e che trasforma le vigne in tavolozze di colori sulla variante dei colori più caldi e brillanti. In poche parole queste zone sono magiche d'autunno, forse più di quanto potessimo immaginare.
Pollenzo per quanto sia veramente minuscola (una piazza ed un dedalo, dicesi dedalo, di vie) regala degli scorci magnifici con la luce di taglio di questa stagione: la basilica, la torre ed il complesso dell'Agenzia, formano un miglio quadrato ad alta densità di bellezza.
           
  

Nel complesso dell'Agenzia sono presenti l'Università, la Banca del Vino, un bar e due ristoranti. Uno di questi è Guido. Non un locale qualsiasi, bensì uno dei riferimenti storici della ristorazione italiana,  un posto che da decenni offre i classici della cucina piemontese con una attenzione quasi maniacale per le materie prime (molto carina è l'idea di montare un video della cucina durante il servizio, la musica di Jamiroquai ci sta proprio tutta:-).

Conosciuto qualche giorno fa l'headchef  di Guido (Ugo Alciati) per organizzare la cena di Natale di facoltà, siamo rimaste sorprese dalla sua gentilezza e disponibilità, niente a che vedere con lo stereotipo del cuoco isterico e sgradevole che Master Chef ci propone settimanalmente: Alciati, preso pure a sorpresa, ci ha fatto accomodare e si è seduto con noi cercando di venirci incontro in ogni modo per permetterci di fare un'autentica esperienza d'haute cuisine.

Autunno, vigne, Langhe manca solo lui per completare il quadro: il tartufo bianco d'Alba.
Ogni anno a novembre si tiene la fiera omonima e durante l'ultimo giorno si battono all'asta, in diretta con New York, le maggiori pezzature del tubero più pregiato al mondo: americani, giapponesi e cinesi  gareggiano a suon di centinaia di migliaia d'euro per aggiudicarsi il master piece
La fiera è in realtà un tributo all'intera gastronomia piemontese: si possono infatti acquistare tome, nocciole, paste fresche, vini e miele, in più degustazioni guidate e mini ristoranti dove farsi preparare un piatto di tajarin ricoperto di preziose scaglie.

Nel lento ritrovare i nuovi punti di riferimento per le nostre compere alimentari, il mercato bisettimanale di Bra è già diventata una abitudine consolidata. L'offerta di verdura, frutta, formaggi e pesce è ottima e ci si imbatte facilmente anche in qualche banco che è da solo una vera e propria sinfonia dell'autunno insieme ad un pizzico di pragmatismo di campagna.


Passeggiando qualche giorno fa a Cherasco ci siamo accorte come in un mese questi posti ci siano entrati nel cuore molto più che Parma in tre anni. Le dolci colline delle Langhe parlano e raccontano di cibo in ogni loro angolo e Slow Food, ne siamo sicure, non poteva vedere la luce da nessuna altra parte d'Italia.


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