venerdì 28 dicembre 2012

Il Natale. Sul lago.


Natale. 
Sebbene razionalmente non ci siano dei veri motivi per amarlo come quando ero piccola, rimane comunque la mia festa preferita, l'unica che se dovessi scegliere salverei. Anni fa una psicologa aveva detto a mia mamma che quello che vivi nei primi tre anni della tua vita è fondamentale per formarti come adulto e che questi tre anni pesano di più di tutti gli altri messi assieme. Danno lo stampo per l'adulto che sarai. 
Ecco io riconduco a questo il mio amore sviscerale per il Natale. 
I primi anni della mia vita è stata vissuta come una vera festa familiare con tanto di dosi abbondanti di magia per noi piccoli nipoti appena arrivati. Il luccichio delle posate, l'arrivo degli zii che abitano lontano, il panettone gigante che portava mio nonno, la letterina a Gesù Bambino, il patè preparato da mia mamma e da regalare a tutti gli amici, il giro di auguri ed il vin brulè bevuto sul lungolago all'uscita della messa della Vigilia. 
Per tutto questo io adoro Natale ancora oggi. 
Anche se di tutto quello che ho appena scritto forse è rimasto solo il patè nel mixer. 
Anche se l'atmosfera in casa è diversa, molte le persone che se ne sono andate, poche quelle che si sono aggiunte. 
Ma alla fine, grazie a questi famosi tre primi anni di vita, mi è rimasta l'idea che possa essere il momento più bello dell'anno e che un giorno potrò ricostruire per la mia futura famiglia un Natale coi fiocchi, anzi come direbbe Briatore "da sciogno":-)


Natale sul Lago Maggiore si presenta generalmente in due versioni: la prima è quella qui sopra fotografata, conosciuta come "la lugubre": nebbiolina bassa, montagne innevate, clima scozzese. 
La seconda è quella con sole brillante, cielo tersissimo e montagne innevate che si specchiano sull'acqua.
Quest'anno è andata di moda la prima:-)


Il Natale è sempre stata una cosa seria a casa mia. Tutto il meglio della casa deve essere lavato, spolverato e lucidato. Inoltre le decorazioni devono essere il più possibile homemade: quindi via libera a biscotti, decorazioni in legno, feltro, das, vetro. 
Quest'anno anche il cane, pardon Tabata, è stata decorata con nastrini oro, ton sur ton col pelo e piccola pallina oro a lato.
La Vigilia non si è mai festeggiata, è il pranzo di Natale il pasto che merita tutte le attenzioni possibili ed un menù fedele alla tradizione di famiglia: patè di fegato ed insalata russa, tortellini in brodo, cappone lesso o arrosto ripieno, panettone con crema di mascarpone al caffè.   


I rituali danno sicurezza e anche nel mezzo del turbinio di eventi degli anni scorsi, il fatto di sapere come sarebbe stato addobbato l'albero, apparecchiata la tavola ed il menù del pranzo mi dava sicurezza. Può sembrare un atteggiamento un filino materialista, ma in momenti in cui altre cose traballano, gli oggetti sempre uguali a se stessi negli anni, forniscono le certezze che altrove mancano.
God save the traditions:-)  



Una piccola ricerca in questo blog mi ha confermato ciò che già sospettavo: del Lago non ho mai scritto, non c'è nessun appunto gastronomico, nessuna menzione ai luoghi dove ho affinato il palato. I motivi sono molti, generalizzando si potrebbe dire, che è più facile parlare dei luoghi degli altri (come delle cose degli altri) che dei propri. Il coinvolgimento emotivo, nel bene e nel male, frena una narrazione oggettiva, per cui capita che i propri posti sono gli ultimi di cui si parla volentieri.
Ho deciso oggi di farlo, probabilmente perchè ormai che sono ben 7 anni che sono fuori casa, la distanza temporale aiuta a vedere, annusare, gustare tutto con occhi diversi. 


La prima tappa foodie che consiglierei a qualsiasi persona che sceglie il Lago per un week end è La Casera. Nata come boutique che vende formaggi d'alpeggio, il proprietario l'ha poi fatta diventare la rivendita dei formaggi affinati personalmente da lui, per poi trasformarla, l'anno scorso, in una gastrnomia-ristorantino, un posto dove andare per bene un buon calice di vino, mangiare un orologio di ottimi formaggi e magari fare un assaggio di violino di capra.
Salumi, formaggi, olio, aceto, marmellate, vino, liquori, dolci, sono tante le cose che La Casera vende, tutte che si possono aprire e mangiucchiare durante un aperitivo, prendendo nota e scoprendo formaggi particolarissimi, non perdendo, il Bettelmatt, la gloria della caseificazione della zona, il formaggio reso famoso da Raspelli che lo ha fatto diventare un must.
Se vorrete Eros vi spiegherà qualsiasi cosa di quello che rivende e vi farà assaggiare tutto il possibile per saziare il vostro desiderio di cultura gastronomica.

La Casera,
piazza Ranzoni 19
Verbania-Intra.






domenica 23 dicembre 2012

Gran tour Trentino Alto Adige, tappa 2


La cronaca del Trentino era stata improvvisamente interrotta dal Salone del Gusto e da qualcosa come 5 esami da dare in un mese e mezzo scarso, con timide richieste da parte dei professori come: "inventate la tracciabilità di olio extra vergine d'oliva e fate un piccolo piani di marketing per promuoverlo", "ideate un evento enogastronomico che faccia capire, per bene, l'importanza della geografia di quel territorio nei prodotti che produce", cosucce quindi di rapida e indolore soluzione.
Ma visto che ogni cosa ignorata richiama prima o poi attenzione, le foto dell'ultima parte del viaggio in Trentino hanno cominciato ad apparire inspiegabilmente sullo schermo del computer, segnale da me intrepretato come "adesso, lo fai, punto".
E così, un po' intimidita dall'intraprendenza delle foto e con alcuni sensi di colpa molto arzilli, mi sono messa sulla scrivania a finire quello che stavo facendo qualche mese fa, mannaggia a me.


Andriano. Piccolissimo centro vicino alla Strada del Vino del Sudtirol, quasi tutto formato da bed and breakfast e ristorantini. Il nostro B&B era però un po' diverso dagli altri. Un piccolo castello medievale con tanto di stradina sterrata per arrivarci. Un filo inquietante la notte, magico la mattina quando ti svegli e hai sotto di te tutta la valle, con vigneti e meleti.  


La giornata è dedicata alla Strada del Vino, alla visita a Degust, alla cantina di Termeno e per finire, sia mai che si muoia di fame, una cena al Zur Rose, storico ristorante di Appiano. I paesaggi che si susseguono sono di un verde brillante con punteggiature gialle e rosse. La pergola trentina, crea magici giochi d'ombra e la cosa più divertente è correrci sotto e spuntare dall'altra parte, guardare il panorama, fare qualche foto e mangiare un acino di Muskateller. 


Molte camminate dopo, molti panini di segale dopo, molto speck dopo, riprendiamo la macchina per vedere la famosa cantina di Termeno, un gioiellino di design dopo la massiccia ristrutturazione che ha subito 2 anni fa. 


La struttura si nota da lontano per il suo verde accecante e per la strana geometria che si innalza sopra la rotondità delle vigne circostanti. Potrebbe essere la sede di una Lega Nord avveneristica ed invece è il punto vendita di una delle cantine sociali più grandi dell'Alto Adige. Dentro acciaio, legno e tanti tanti calici che girano vorticosamente tra il bancone e gli avventori (tedeschi). Ottimi i vini, abbiamo assaggiato i classici della zona e anche un metodo classico che ci ha lasciato particolarmente soddisfatte. Oltre lo shop c'è una terrazza che da sulle vigne. Un posticino ideale per l'autunno, quando l'aria è frizzantina, il paesaggio è multi color e ozieggiare con un bicchiere di vino in mano viene più che naturale.  



Qualche acquisto, qualche parola detta in italiano in un mare di vocaboli teutonici e poi ancora via. Veloci, velocissime verso Degust. Degust è il nome dell'azienda di affinamento di Hansi Baumgarten, fratello dell'ancora più famoso Karl Baumgarten, chef stellato in Alto Adige.
Degust negli ultimi 10 anni è diventato un punto di riferimento per tutti i gli appassionati di formaggio in Europa, Hansi compra formaggio da tutto il continente e poi lo affina. Il che vuol dire che può anche solo destinarlo alla stagionatura in grotta (della II guerra mondiale, usata da Mussolini per nascondere le armi) o invece conciarlo con spezie, foglie (anche d'oro), alcolici e i più svariati aromatizzanti. Il risultato sono formaggi diversissimi rispetto a quando arrivano nel suo laboratorio: girano persino voci di Camembert in piena crisi d'identità dopo il suo trattamento.
Hansi fa tutto questo e tra qualche mese avrò una validissima aiutante nel suo laboratorio: Marcella:-)
Sei mesi per cominciare ad imparare l'arte, conoscere i canali di distribuzione, migliorare la comunicazione e promozione dei prodotti, partecipare alle fiere di settore.
Hansi ci ha fatto fare tutto il giro dell'azienda, ci ha presentato tutti i suoi deliziosi dipendenti che con fantastico accento tedesco ci salutavano e che con discreta fatica ci cercavano di spiegare i loro prodotti in italiano.
Poi ci siamo tutti accomodati nella saletta per le degustazioni e ci ha fatto assaggiare tutto il suo mondo. E sottolineo proprio il suo, perchè io sapori così non ne avevo mai sentiti e abbinamenti così forti ma  piacevoli sono stati come un passaggio di iniziazione. Un passaggio verso una cultura casearia tutta nuova, un diverso modo di concepire il formaggio: la qualità, le potenzialità del latte non si fanno solo trapelare da una buona lavorazione in caseificio ma anche da un buon affinamento, una pratica che permette di guidare le fermentazioni in modo che si creino aromi secondari perfetti per quel tipo di latte.
In pratica un'arte:-)



Per finire, Zur Rose. 
Più che un ristorante un istituzione qui in Alto Adige. Il primo ristorante stellato della provincia, lo chef quasi un eroe popolare da queste parti.
Il locale è molto bello, caldo, arredato con il legno e la boiserie. Il menù è quello autunnale: funghi, zucche e tanti formaggi, ovviamente di Hansi:-)
Noi abbiamo optato per una formula antipasto+primo+dolce, lasciando perdere il secondo solo per una questione di prezzo. 
Abbiamo, in ordine, mangiato una variazione di testina di vitello con gelato alla senape, ottima ed un petto di quaglia su tartare di patate e finferli, tenerissimo ed estremamente godurioso.
Come primo un risotto al formaggio grigio e gelatina al peperoncino e dei ravioli di farina di pere secche con formaggio grigio, entrambi con cottura perfetta ed un ottimo equilibrio tra i diversi aromi.
Per finire un tortino di cioccolato con menta e lamponi con gelato alla panna acida ed una omelette dolce con le mele e bagnata da uno sciroppo di sambuco.
Qualche appunto? Forse si poteva osare un po' di più con i dolci, i tortini al cioccolato e le omelette dolci non hanno la portata innovativa dei ravioli al cioccolato e al formaggio grigio. Per il resto tutto perfetto, ottimo servizio, buoni i vini, giusto il prezzo, un onesto 45€ a testa, che da queste parti, si spendono proprio come niente.


Auguri a tutti di Buon Natale!











domenica 11 novembre 2012

Salone del Gusto, col senno di poi


Giovedì 25 ottobre, ore 10.
Pass? C'è.
T shirts black and orange? Anche.
Regali e regalini di mamma Garofalo (con aggiunte di zia Tre Spade)? Pure.
Ok, allora è proprio il caso di lanciarci nella folla, negli stand, nella ressa ma anche nell'eccitazione di vivercelo un pochino-ino-ino da protagoniste questa volta.
Prima tappa Garofalo, ovviamente. Emidio e Flavia da salutare, un sacco di gente a cui presentarsi per spiegare perchè sosteremo in zona così spesso (e così a lungo per quanto mi riguarda:-).
Il Salone ci appare subito enorme, grandissimo, forse troppo. Per chi dovrà fare il nostro sporco lavoro i km da macinare si presentano tanti, molti.



Il primo giorno scorre in mezzo a qualche problemuccio organizzativo, a molte persone conosciute, molte ri-conosciute e qualche sparuto assaggio quà e là. Capiamo subito che ci saranno troppe cose da fare e da vedere in soli 4 giorni perchè si possa dare un contentino a tutti nostri desideri e curiosità. Meglio scegliere e concentrarsi su poco, pochissimo e stare attenti a non farsi inglobare dalla folla (quest'ultimo punto molto importante).


Formaggi di latte ovino (la scoperta di quest'anno si chiama Montèbore), fagioli, salumi prodotti con i tagli più impensati di maiale (sangue, lardo, pane, spezie e pinoli. Ecco a voi il Mallegato), aziende gestite da ragazzi con un incredibile entusiasmo, formaggi provenienti da malghe a 2000 metri. Tante facce, tutte sorridenti, tanti prodotti, tanti coltelli che si agitavano per tagliare, far assaggiare, far capire con un prodotto, la propria scelta di vita.



Secondo e terzo giorno, la fatica si fa sentire, la gente aumenta esponenzialmente. I tour prendono il ritmo tra giornalisti stranieri, signore cinesi alla scoperta dell'Italia, delegati Slow Food canadesi ed australiani, studenti dell'Unisg. 
Tante persone diverse, ognuna con una sua sensibilità e curiosità verso particolari e dettagli diversi. Domande (molte), assaggi, scambi di considerazioni, biglietti da visita e magliette.


Questo Salone si era dato un impegno ambizioso: abbassare la sua impronta inquinante del 70%, numeri pazzeschi per una fiera che movimenta merci e persone da tutte le parti del mondo ma che risulta necessario per far capire che cambiare si può e che Slow Food non predica qualcosa, razzolando risultati molto diversi. Ad essere onesta, non ho capito se la percentuale è stata centrata, ma posso assicurare di aver visto imballaggi biodegradabili ed una gestione dei rifiuti molto seria. 


A Terra Madre, sabato, ho avuto un piccolo sussulto. Nell'area francese ho trovato lo stand di una biscotteria francese di Aix en Provence che è strettamente legata ad una bellissima giornata passata sotto la pioggia, camminando e sgranocchiando biscotti, in cui cercavo di tenere le fila della mia vita, in quel momento parecchio confusa.



 Un piccolo giro in Trentino per prendere sempre più confidenza con la mia nuova casa (da febbraio su questi schermi) ed è già domenica, l'ultima giornata di lavoro, domani ci attende solo un laboratorio del gusto sui formaggi e vini d'Alsazia e poi un breve giro di saluti. 
Lunedì: qualche piccolo problema di afonia ed un Salone vuoto, in fase di smantellamento, triste come tutte le cose che stanno per finire e che si è visto iniziare. 
Un ultimo sguardo e questo ci cade su un invito per il futuro, uno di quelli che ti fa sorridere e uscire dai tornelli con il sorriso di chi ha tanto desiderato esserci e alla fine c'era.



Qualche, doveroso, aggiornamento: 


venerdì 19 ottobre 2012

Salone del gusto#2012


Eh sì ecco a voi il Salone del Gusto 2012!
Il primo in cui, dopo anni di tante morbose incursioni da giovani appassionate, ci vede finalmente, collaborare attivamente ad alcune iniziative del Salone ed in generale a viverlo a 360°C grazie al fatto di essere studenti all'Unisg.
Un post, questo, ad alto tasso promozionale, pensato e scritto per fare un pochino di pubblicità ai progetti a cui stiamo lavorando da diversi mesi e che in questi ultimi frenetici giorni ci stanno facendo fare le ore piccole davanti al computer:


Passi belanti tour: viaggio tra i pecorini d'Italia

Un viaggio tra i profumi e i sapori delle produzioni casearie italiane più rare e particolari. Un' intensa   ora e mezza a chiacchierare con i casari custodi di pratiche antiche come la transumanza, per concludere con una degustazione guidata dei formaggi di cui si è parlato. I tour partono venerdì 26 alle 11:30 ed alle 19:00 e sabato 27 alle 16:00, potete prenotare il tour qui.

Gli illustri sconosciuti: viaggio tra i salumi dimenticati dalla GDO

Salumi prodotti da pochissimi artigiani, fatti con interiora, tagli particolari e spezie, frutto della saggezza dei contadini e del vecchio adagio "del maiale non si butta via niente". Salumi che non hanno spazio nella GDO perchè si pensa che non interessino al grande pubblico, forse erroneamente?!  
Sabato 27 alle 11:30 e alle 19:00. Per prenotare qui.

Giovani che fanno il mestiere dei nonni: voci dal ritorno alla terra

Garofalo lancia quest'anno i suoi tour marchiati Gente del Fud, tour basati sui prodotti recensiti su GDF e sui produttori ad essi collegati. Questo tour coinvolgerà i produttori giovani, quei ragazzi che continuano le produzioni storiche di famiglia o che invece ritornano ad una dimensione rurale spesso ignorata dai loro coetanei. Da giovedì a domenica, alle 14:30. Per prenotarsi qui.

Fagioli d'Italia per Garofalo

Zolfino, Sorana, Rosso di Lucca, fagiolina del Trasimeno.
Niente Borlotti, Cannellini e bianco di Spagna, ma una scoperta della biodiversità italiana che, a dispetto di quanto si sappia, è vastissima anche nel mondo delle leguminose.
Da giovedì a domenica, alle 14:30. Per prenotarsi qui.

Formaggi d'alta quota per Garofalo

Pascoli sulle Alpi e sugli Appennini, casari che allevano antiche razze bovine e che producono formaggi in condizioni decisamente più difficili di quelle che devono affrontare i loro colleghi in pianura.
Viaggio tra chi non si arrende alle comodità e lotta ogni giorno per far conoscere i propri prodotti dai profumi e sapori di prati incontaminati.
Da giovedì a domenica, alle 14:30. Per prenotarsi qui.

Inoltre ci sono i tour curati dagli altri ragazzi dell'Università, che potrete scoprire qui.

Tutti i tour (tranne l'ultimo la cui guida sarà una nostra compagna di classe) avranno come guida le qui presenti blogger, non mancate:-)







sabato 13 ottobre 2012

Grand tour Trentino-Alto Adige, tappa 1


Certe volte nella vista tutto si incastra perfettamente e così senza neanche pensarci ci si ritrova con un compleanno importante da festeggiare, uno stage da decidere ed una passione infinita per due provincie del Nord Est: il Trentino e l'Alto Adige.
Mixare queste tre cose è semplice, meno scontato è ottenere qualcosa di buono, come una settimana da passare in vacanza per festeggiare il compleanno, molte aziende da visitare e qualcuna che inaspettatamente sia interessata a te.
E così una settimana fa la piccola carovana è partita per passare la sua prima giornata a Trento, per poi proseguire a Vigo di Ton e per finire ad Andriano, dove l'attendeva un b&b formato castello medievale dove trascorrere cinque lunghi giorni a vedere un po' se il destino ce la faceva giocare questa carta nord orientale.


In tanti anni di più o meno assidua frequentazione della zona ci eravamo sempre ripromesse di visitare
la Ferrari un giorno o l'altro, per i 30 anni ci è sembrato il momento giusto per farlo.
Lo stabilimento della casa più famosa del metodo classico italiano c'è sembrato una struttura work in progress dove si mischiano stili diversi di architettura frutto di allargamenti e ristrutturazioni continui che per il momento generano un po' di confusione al visitatore: si inizia con una strana casetta di legno stile anni '70 (con arredamenti originali) per finire in una struttura tutta specchi e sculture di Arnaldo Pomodoro molto anni 2000.
Continuità? Non sono una esperta d'arte nè di interior design ma se fossi un membro della famiglia Lunelli modificherei sensibilmente la parte anni '70-'80 che è di gusto chiaramente sorpassato e poco in linea con i canoni dell'estetica dell'arredamento attuale.


Unico tributo alla modernità dei divanetti di plastica bianco lattiginoso a marchio Ferrari, suppongo dotati di lampadine interne per ottenere giochi di luce nei dehor dei locali che servono Ferrari. 
Il tour inizia con un breve filmato della storia delle Cantine, nate dall'idea dell'enologo Giulio Ferrari che ebbe l'intuizione di capire che la zona della Champagne e quella del Trentino avevano molti punti in comune e che importando delle barbatelle di Chardonnay dalla Francia all'Italia si poteva creare un Champagne tutto italiano. Detto fatto, in poco tempo iniziò la produzione di un metodo classico che ebbe fin da subito un grandissimo successo e vinse parecchi premi persino in Francia. Ferrari non aveva figli ma ebbe, da anziano, un'altra intuizione quella di lasciare la sua azienda ad un rivenditore di vino di Trento, Bruno Lunelli. La famiglia Lunelli, alla terza generazione, è ancora l'attuale proprietaria delle cantine Ferrari.

  
La visita prosegue snodandosi dalla zona di produzione del vino a quella dove le bottiglie in cui sta avvenendo la seconda fermentazione riposano per almeno due anni, per finire nella sala dove avviene il degorgement (rimozione tramite congelazione del collo di bottiglia dei lieviti e di altre impurità), il rimpinguamento del vino perso con un liquer de dosage e la messa in bottiglia del tappo, della gabbietta di alluminio e dell'etichetta.


Alla fine della visita si passa prima davanti ad un modellino della nuova tenuta acquistata dal gruppo Lunelli, la tenuta Castelbuono, detta il carapace e completamente disegnata da Arnaldo Pomodoro per poi finire con una degustazione di un Ferrari a scelta della Casa, noi abbiamo assaggiato un Riserva Lunelli, veramente ottimo.
Terminata la visita siamo piuttosto contente, la guida è stata esauriente, disponibile e molto corretta (non si ricordava della nostra prenotazione e per questo non ci ha fatto pagare, chapeau), abbiamo risolto enigmi insoluti da sempre (l'acqua Surgiva che acqua è? Perchè non si trova nella grande distribuzione? Risposta: è del gruppo Lunelli che la distribuisce solo alla filiera Ho.Re.Ca ed è, tra l'altro, l'acqua ufficiale dell'AIS) e ci siamo degustate un ottimo vino su una bella poltroncina che avrebbe adorato il protagonista di Grease:-) 


Altro giro, altro regalo, questa volta tocca spingersi a Vigo di Ton, paesino non esattamente a portata di mano, dove nasce il Miele Thun ed il suo geniale ideatore Andrea Paternoster, colui che ha portato alla ribalta il miele monofloreale e che riesce ad ottenere mieli più o meno da qualsiasi vegetale presente su questa terra (per dire noi abbiamo assaggiato quello di carota selvatica e quello di cardo).
Ad accoglierci non c'è lui ma un suo collaboratore a cui non basteranno tre ore per raccontarci tutto quello che producono e che hanno in mente per gli anni a venire. L'ultimo progetto in casa Thun è quello di una valorizzazione dell'aceto tramite l'associazione Amici Acidi, unione di 5 produttori che considerano l'aceto non un prodotto secondario del mondo enologico ma bensì un potenziale protagonista assoluto della cucina.
Noi assaggiamo l'aceto di miele al rosmarino ed è subito amore, poco acido molto fresco e piacevolmente aromatizzato, ed è così che Andrea ci spiega deve essere l'aceto, deve dare soprattutto freschezza e non acidità.
Un giro nella produzione (piccola ovviamente, il miele devi giusto imbottigliarlo o al massimo tenerlo nel miscelatore per ottenere una cristallizzazione migliore) e poi via alla degustazione.
Proviamo una decina di qualità diverse di miele, tutte ottime ed alcune dai profumi un tantino troppo intensi, come il miele di Tarassaco che ricorda il Puzzone di Moena, e scegliamo di prendere quello di Erica, delicatamente profumato e il Millefiori degli alveari presenti a Casadonna, la tenuta di Niko Romito, il millefiori più vellutato che abbia mai provato.
Nel frattempo, tra una leccatina e l'altra al cucchiaino sgocciolante di questo nettare, capiamo perchè questi mieli sono diventati così famosi: Andrea Paternoster per creare questi monovarietali particolarissimi, sposta le sue arnie in ogni parte d'Italia, dall'Isola di Sant'Erasmo di fronte a Venezia, fino alla Sicilia, passando dal Molise e Calabria. Colloca le arnie nei luoghi dove sono più presenti le specie vegetali che gli interessano e poi le lascia il tempo che esse producano il miele, prodotto quello le porta da un'altra parte, in un continuo Italian bee-tour.
Sono le 19, il tempo stringe, Andriano è lontana e dobbiamo ancora trovare il proto-castello e prepararci per la lunga giornata seguente, da passare tutta sulla strada del Vino in Alto Adige ripetendo ansiosamente quelle poche parole di tedesco, che non sappiamo ancora che ci serviranno un bel po' nei prossimi mesi.


domenica 7 ottobre 2012

Ricordi d'estate#2


I ricordi tendono a sbiadire col tempo e più la nebbiolina langarola scende a ricoprire gli acini più i 39°C di quel giorno a Portonovo perdono di nitidezza.
Ogni anno mi trovo sempre a rifare le stesse riflessioni in autunno che più o meno si concludono con una generale incredulità verso i cambiamenti di temperatura che avvengono in Italia nell'arco di pochi giorni. Inutile dirlo a Londra questa incredulità mi prendeva molto raramente: la differenza tra le temperature di aprile, luglio e settembre è molto sfumata. 
Il giorno in cui abbiamo conosciuto Moreno Cedroni per la mia tesina sul rapporto tra ristorante e paesaggio, la temperatura era al di fuori della normale sopportazione, 39°C con l'80% di tasso di umidità, uno dei migliori modi per capire la provenienza della metafora "l'aria si tagliava con un coltello" (avete presente la condensa dopo che avete fatto la doccia? ecco la sensazione era quella:-)


Il Clandestino di Moreno Cedroni è un locale stranissimo per essere di uno chef stellato, è incredibilmente mimetizzato nel paesaggio, non urla da nessuna parte la sua specialità rispetto agli altri baracchini presenti sulle spiagge, semplicemente si lascia scoprire, magari prendendo anche solo un Magnum al bancone del bar (e non intendo un piatto rielaborato alla Bottura intendo proprio il Magnum Algida di trash-food memoria).
Il locale è interamente di legno e Cedroni ci spiega che lui, a parte un piccolo ritocco alla veranda, non l'ha toccato ma che anzi l'ha volutamente lasciato come l'ha trovato, perchè così "poteva rimanere quel localino abbordabile ai bagnanti che era sempre stato, non aveva proprio senso trasformarlo in un qualcosa di chiccoso ".
Non un ragionamento da tutti, inserendo un po' di psicologia nel discorso si potrebbe aggiungere che è un rischio che si corre solo se si è molto sicuri di chi si è, del proprio lavoro e non si deve più dimostrare (quasi) nulla a nessuno.


Il menù varia a seconda del momento della giornata, al mattino si comincia con la colazione pied dans l'eau, il pranzo si risolve con un susci da nome favoloso (Pollicino, Il brutto anattrocolo...), la merenda con uno dei dolcetti presenti e la sera il Clandestino cambia faccia proponendo prima aperitivi e poi susci diversi, meno giocosi più eleganti.
E' così che questo luogo "cambia a seconda della clientela che ospita e non cambia lui la clientela che frequenta la spiaggia" ci dice Cedroni. L'umiltà è sempre emozionante, l'intelligenza disarmante e così il ritorno alla macchina per proseguire verso casa è pieno di riflessioni su questo chef dalla faccia simpatica e schietta.


L'ultima tappa della nostra estate è stata Eataly a Roma, il gigante aperto da qualche mese che ci richiamava come mosche al miele.


Il primo impatto è, come dire, "bruciante" visti i 41°C di Roma ed il parcheggio tutto al sole che circonda questo grande stabile dall'architettura di acciaio e vetro dal sapore "internazionale". Eataly è grandissimo, più di quanto pensavamo e dopo qualche momento è veramente difficile non perdere il senso dell'orientamento e dello spazio in quello che è sicuramente una piccola Disneyland dei foodies. 


Dopo qualche ora, devo essere sincera, abbiamo cominciato a tentennare, pranzo al ristorantino del fritto (ottimo niente da dire, soprattutto considerando i numeri che fa), giro attento al reparto formaggi, salumi e pesce, fino all'ultimo piano quello del ristorante Italia e della sala conferenze.
Dopo aver visionato tutto, condiviso impressioni e riflessioni, mi sento di fare qualche timida critica:
  • Piemonte, Piemonte, Piemonte. Ed ancora Piemonte se fosse possibile. Ovvio, non ho niente contro la mia regione, ma se trovare tanto Piemonte a Torino mi pare doveroso, trovare la stessa origine nelle migliaia di referenze presenti a Roma mi lascia un po' di amaro in bocca: yogurt, formaggi, carne, dolci. Ma in tutto il Lazio non fanno un buon yogurt che bisogna portarlo dalla Val di Susa? E La Granda è fantastica, ma non ci sono altri allevatori che applicano gli stessi criteri in tutto il Centro-Sud Italia? Con questo non dico che non ci fossero prodotti provenienti da altre regioni ma la supremazia del Piemonte era, a mio gusto, assolutamente esagerata.
  • Reparto vino: il vino ai piani alti secondo me non ci sta. Quanto è bello a Torino scendere nei sotterranei e scegliersi la propria bottiglia (perchè in fondo in tutti noi è assodato che il vino sta in basso, in cantina, no?) quanto a Roma sceglierlo con vista sulla città non mi è piaciuto troppo. 
  • Il gelato non è assolutamente all'altezza del luogo. Io ho provato con titubanza per una cattiva esperienza precedente il gelato di Venchi e se allora non mi aveva entusiasmato sono pronta a riconfermare la vecchia sensazione. Sapore annacquato, sensazione di poca artigianalità. A Roma di gelaterie che meritavano quello spazio, secondo me, ce ne erano ben di migliori.  
  • Si avvertiva, ma forse era normale vista la poca quantità di tempo passata dall'apertura, una certa disorganizzazione generale, una sorta di caos in cui si muoveva l'intera macchina farinettiana. Per tutta la durata della nostra visita abbiamo visto baristi con l'aria molto poco convinta e dipendenti che davano l'impressione di cercare anche loro il bandolo della matassa. Ma in questo caso concediamo tutte le attenuanti e siamo pronte a ricrederci in una prossima visita:-)

Nota, invece, di merito per alcune installazioni artistiche: la spirale di tazzine di caffè che sovrastava il bar Illy è veramente bella e ha raccolto un certo numero di entusiaste teste all'insù. Niente male veramente.
Il ricordo quasi sbiadito è stato salvato, ora tocca alle atmosfere alto atesine prendere il posto di spiagge e parcheggi roventi e al Salone del Gusto poi.
Tempo al tempo:-)

mercoledì 12 settembre 2012

Ricordi d'estate#1


Vacanza in Centro Italia avevamo detto. 
Ci eravamo preparate per abbuffate di zucchine, melanzane, fagiolini e pomodori. Non ci eravamo preparate invece a conoscere Niko Romito e Moreno Cedroni, peraltro senza nemmeno mangiare nei rispettivi ristoranti.
L'occasione di conoscere Casadonna, la nuova tenuta di Niko Romito ci è stata data da una tesina da svolgere per un esame all'università. Il tema era quello del paesaggio e della ristorazione, di come essi comunichino, si aiutino e possano creare un rapporto molto più profondo di quello che si potrebbe pensare: non si parla infatti solo della "cucina del territorio" ma di turismo, di conservazione (o ristrutturazione) del paesaggio, di armonia architettonica tra quest'ultimo e i locali che ci sorgono.
L'argomento è abbastanza complesso, dal punto di vista filosofico come anche da quello architettonico, sono tanti i punti di vista possibili per affrontare questa relazione e per giungere a conclusioni molto diverse.
Noi non abbiamo cercato una vera e propria conclusione, abbiamo solo cercato esempi di un rapporto che può essere anche molto fecondo.
Casadonna ne è un perfetto esempio.


La tenuta sorge a Castel di Sangro, piccolo paesino abruzzese lontano da autostrade, ferrovie ed aeroporti. Non lo dico per inserire una mera informazione tecnica, lo dico perchè creare un posto che funziona, per di più frequentato da una clientela internazionale nel cuore dell'Italia non è facile. Un solo locale che valga la pena di essere visitato non può creare nulla di continuativo se il territorio non lo aiuta e non partecipa al regalo che è Niko Romito per questa terra: con la sua cucina, la sua scuola, le sue camere d'albergo può veramente fungere da traino perchè tutto un territorio possa respirare dopo un terremoto ed una crisi economica disastrante.    


Scontato dirlo, doveroso ribadirlo: Casadonna è bellissima. 
E' luminosa, è calda, è storica ma è anche moderna, attenta a tutto quello che avviene nel mondo. E' un posto dove ci si sente fuori dal mondo ma anche incredibilmente connessi con il mondo, con le sue tendenze di cucina, di design, di accoglienza.
Gli spazi esterni ospitano una vigna ed un bellissimo nastro di lavanda che scende dalla tenuta verso il paese sottostante,il terrazzo dove prendere l'aperitivo la sera è un palco sulle montagne ed il cielo sovrastante.  


Gli spazi interni sono naturalmente freschi, aiutano a riprendersi dalla accecante luminosità dell'esterno pur continuando ad essere incredibilmente bianchi. Un bianco meridionale però, caldo ed accogliente, il bianco della calce e della pietra a vista, niente a che vedere con i bianchi algidi delle nuove tendenze tutto-bianco da interior design.
All'interno della tenuta c'è il Reale, il ristorante storico di Romito, trasferito adesso al piano terra della tenuta. 
Semplice, lineare, con pochi oggetti per altrettanti pochi tavoli. Romito deve essersi letto Mies Van der Rohe accuratamente prima di decidere come arredare la sua tenuta, e deve pure essersi soffermato particolarmente sul motto "less is more", al Reale non c'è un solo oggetto in più di quello che dovrebbe esserci.




Non ci siamo fermate a mangiare, ci siamo ovviamente ripromesse di farlo appena troveremo un lavoro (dirlo di questi tempi sembra quasi una battuta di pessimo gusto) ma abbiamo potuto goderci un aperitivo con stuzzichini del Reale per soli 6€. 
La classe non è acqua.


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